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Dionisio Gambioli

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Dionisio Gambioli (1858 – 1941), matematico italiano.

Breve sommario della storia delle matematiche

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  • [Menecmo] È celebre la risposta, che egli diede al suo allievo, quando lo richiese di fare le dimostrazioni più brevi; egli gli fece osservare, che, quantunque nel paese vi fossero vie private ed anche vie regie, in geometria però vi è solo una via per tutti. (cap. I, p. 19)
  • Non è inutile rammentare che Euclide introdusse ne' suoi Elementi il metodo di dimostrazione detto di riduzione all'assurdo, che consiste a provare che qualunque ipotesi contraria ad una proposizione enunciata conduce a qualche contraddizione. Questo metodo è utile sopratutto nelle questioni, in cui l'infinito si presenta sotto forma degli irrazionali [...]. (cap. I, pp. 23-24)
  • L'Algebra moderna incominciò a fare grandi passi sulla via del progresso quando divenne intieramente simbolica; imperocché essa ha un linguaggio suo proprio, un sistema di numerazione indipendente dalle cose rappresentate, mentre le operazioni sono effettuate secondo regole diverse dalle leggi della costruzione grammaticale. (cap. I, p. 37)
  • Allorché aveva dodici anni i Francesi presero la città di Brescia, e nel massacro che ne seguì, il povero Tartaglia fu lasciato per morto col cranio, una mascella ed il palato spaccati. La madre sua trovatolo vivo, tentò di trasportarlo via; essendo priva di ogni risorsa, chiamò presso il piccolo malato alcuni cani, perché gli leccassero le ferite; a questo rimedio bestiale essa attribuì la guarigione del proprio figliuolo; ma la ferita al palato, benché si rimarginasse compiutamente, gli lasciò un impedimento nel parlare, onde ricevette il suo sovrannome. (cap. III, p. 67)
  • La vita e la carriera di Cardano costituiscono una storia di fatti straordinari e assai disdicevoli: un gran giocatore e baro, forse anche omicida; ma egli fu anche l'ardente studioso della scienza matematica, risolvendo problemi, che per lungo ordine d'anni avevano deluso ogni investigazione. Una parte della sua vita fu dedita ad intrighi d'ogni maniera, che nel secolo XVI costituirono anche in Italia un vero scandalo; l'altra nel farneticare sulla Astrologia[1], e nel dichiarare ancora agli altri, che la filosofia era il solo argomento degno dell'attenzione umana: il suo genio era strettamente collegato alla pazzia. (cap. III, pp. 68-69)
  • Quando un giorno l'ambasciatore dei Paesi Bassi osservò ad Enrico IV che la Francia non aveva nessun geometra capace di risolvere un problema, che era stato proposto nel 1593 dal contadino Adriano Romanus a tutti i Matematici del mondo e che richiedeva la risoluzione di un'equazione del 45° grado, Vieta, che era informato della sfida e conosceva lo sviluppo di sen n θ in funzione di sen θ e cos θ, subito disse che l'equazione era soddisfatta dalla corda di un cerchio di raggio uno, che sottende al centro un angolo ed in pochi minuti diede la soluzione del problema. Questo fatto gli procacciò grande fama. (cap. III, pp. 72-73)
  • [Nepero] Passò gran parte della sua vita presso la sua famiglia vicino ad Edinburgo, prendendo parte attivissima alle lotte politiche e religiose, che fervevano allora.
    Uno dei negozi principali della sua vita fu di dimostrare che il papa era un anti-Cristo; ma il suo divertimento prediletto era costituito dallo studio delle Matematiche. (cap. III, p. 75)
  • Si crede che Harriot fu il primo scrittore a comprendere l'utilità grandissima, che ottiensi col trasportare tutti i termini di un'equazione in un sol membro; fu anche il primo ad usare i segni di diseguaglianza > e < per rappresentare maggiore e minore; denotò la quantità incognita con a, e rappresentò a2 con aa, a3 con aaa e così via; e questo è stato un gran miglioramento della notazione di Vieta. (cap. III, p. 77)
  • [Galileo Galilei] Seguace di Platone in quanto sentenziava come il sommo greco non potersi studiare la natura senza la Geometria, ripudiò anche egli la vana dialettica aristotelica, che alcuni ristretti spiriti ancora tenevano per sublime fonte di verità, altamente affermando e collo esempio provando che la vera filosofia è scritta solo nel gran libro della natura. Fu appunto l'esperienza interpretata colla Geometria, controllata collo esperimento, il succo vitale del fecondo metodo detto metodo sperimentale galileliano; non da lui scoperto, che è anzi antichissimo, ma efficacemente applicato e promosso; pel quale poi andò anche troppo famoso Bacone da Verulamio, che lo promosse sì e con qualche efficacia, specie presso i connazionali; ma più col Magistero della parola, quasi in severo abito di predicatore, che coll'esempio di varie ed importanti scoperte; di queste invece fu tutta piena la vita di Galilei, il quale può ritenersi il vero fondatore del Metodo Sperimentale o meglio della Filosofia naturale. (cap. III, pp. 79-80)
  • I Dialoghi [di Galilei] scintillano di tratti fini, di allusioni satiriche e di profonde idee scientifiche. Questo bel libro non è soltanto un ammirabile trattato di Astronomia, ed un esempio di logica serrata e di bello scrivere, è un'arringa energica in difesa del libero esame dei fatti, un'opera degna di Socrate, che sarà sempre ammirata da chi apprezza l'indipendenza del giudizio e lo svolgimento delle idee. È una vittoria riportata dalla ragione sui nemici dell'umana coscienza. (cap. III, p. 83)
  • Un'altra opera da ricordare agli Italiani è il Saggiatore, che in forma di lettera il Galilei diresse a monsignore Virginio Cesarini, dotto prelato ed amico grandissimo di Galilei, e contiene la confutazione di ciò che Lotario Sarsi (il gesuita Grassi) espose nella sua Libera astronomica intorno alla natura delle comete ed al loro andamento, apparse in quell'epoca (1618); esso è un modello di scrittura polemica, sia per l'ordine e la chiarezza, sia per l'eleganza e la venustà dello stile, modello pur troppo rarissimo ai giorni che corrono. (cap. III, p. 83)
  • Pervenne al Doge un anonimo, in cui si accusava Galileo di tenere presso di sé una governante, cosa cotesta immorale per l'anonimo. Si sa che da tempo a Galileo era morta la moglie. Il Doge adunò il Consiglio dei Dieci, cui parlò in pretto veneziano così: «Povereto, mi non saveva che aveva da mantegné la governante; propongo di aumentargli di cinque zecchini lo stipendio mensile». (cap. III, p. 84)
  • Descartes era piccolo di persona, avea la testa grossa, ciglia sporgenti, naso prominente, capelli neri, che gli cadevano sulle sopracciglia; di temperamento freddo ed egoistico. Per quanto concerne il livello de' suoi studî, egli non era molto colto, e spregiava ad un tempo quella scienza e quell'arte, dalle quali non si potesse trarre alcun che di reale. (cap. IV, pp. 90-91)
  • Pare che Descartes fosse incerto nel riguardare i raggi luminosi o come provenienti dall'occhio e come suol dirsi toccanti l'oggetto, come avevano creduto i Greci, od invece come procedenti dall'oggetto e così toccanti l'occhio[2]; ma poiché egli riteneva infinita la velocità della luce, non seppe considerarne il punto particolarmente importante. (cap. IV, pp. 92-93)
  • Da fanciullo [Blaise Pascal] dimostrò una precocità eccezionale; e la famiglia per garentirsi che non si affaticasse di troppo nello studio, lo tenne sempre nella propria casa. La sua istruzione da principio fu limitata allo studio delle lingue, e gli fu proibito di leggere qualunque libro di Matematica. Questa proibizione naturalmente eccitò la sua curiosità; un giorno, aveva appena dodici anni, domandò in che cosa consistesse la Geometria. Il suo pedagogo gli rispose che era la scienza di costruire esattamente le figure e di determinare i rapporti fra le loro differenti parti. Pascal senza dubbio stimolato dalla proibizione di non leggere i libri che riguardavano questa scienza, dedicò le sue ore di libertà a questo nuovo studio; ed in poche settimane scoprì da sé molte proposizioni sulle figure, ed in particolare la proposizione che la somma degli angoli di un triangolo è uguale a due angoli retti. Il padre meravigliato dell'ingegno del proprio figliuolo, gli accordò finalmente di studiare le Matematiche, ove fece rapidi progressi. (cap. IV, pp. 96-97)
  • La fama di Fermat è affatto unica nella Storia della scienza. I problemi sui numeri da lui proposti sfidarono tutti gli sforzi per risolverli, e molti di essi cedettero solo davanti al genio di Eulero; uno tutt'ora rimane insoluto[3]. Questo fatto straordinario ha adombrato qualunque altra sua opera; ma infatti essa è di altissima importanza, e possiamo solo dolerci che egli pensasse così poco ad ordinarla ed a scriverla. (cap. IV, p. 103)
  • Quando Newton andò a Cambridge non sapeva nulla di Matematica; ma entro quattro anni divenne un Matematico compiuto. (cap. IV, p. 105)
  • Le dimostrazioni [nei Principia] sono intieramente geometriche; ma sono inutilmente rese difficili dalla loro concisione e dalla mancanza di ogni nesso col metodo con cui sono ottenute. La ragione, onde gli argomenti furono presentati in una forma geometrica, va ricercata nel fatto, che ancora non si conosceva il calcolo infinitesimale; e Newton l'aveva adoperato per dimostrare i risultati, che per sé stessi erano opposti alla filosofia allora prevalente, e la controversia circa la verità dei suoi risultati sarebbe stata inceppata da una disputa riguardante la validità dei metodi usati nello stabilirli. (cap. IV, p. 112)
  • Newton era di persona basso, ma ben piantato, con la mascella inferiore quadra, occhi neri, fronte larga, e fattezze alquanto sottili. I suoi capelli divennero grigi. prima di trenta anni, e rimasero folti. e bianchi come argento sino. alla sua morte; nel vestire era negletto. Egli spesso era così assorto ne' suoi propri pensieri come se altro mai; però era in compagnia piacevolissimo. Era schietto, scrupolosamente onesto e religioso di molto, avendo, come disse Bishop Burnet[4], «l'anima candidissima» se altra mai. (cap. IV, p. 113)
  • Il nome di Newton nella Storia delle Matematiche è forse il più grande; e senza dubbio vi è da maravigliarsi in pensando a ciò, che egli compì. Newton con modestia rara attribuiva gran parte delle sue scoperte, più che al suo genio, all'ammirabile lavoro fatto dai suoi predecessori; ed asserì che se egli aveva veduto un po' più in là degli altri uomini, egli era solo perché si era messo sulle spalle dei giganti. (cap. IV, pp. 113-114)
  • Pare che Laplace abbia considerato l'Analisi come un semplice mezzo per trattare i problemi di Fisica, benché la valentìa, colla quale inventasse l'analisi, che gli occorreva, fosse straordinaria. Finché i suoi risultati eran veri, ben poco si curava di spiegare i passaggi, mediante i quali li avea ottenuti; mai studiò l'eleganza e la simmetria dei suoi procedimenti; sì teneva ben pago, se in qualche modo poteva risolvere la questione, che stava studiando. (cap. IV, p. 132)
  • La sua opera più interessante in Matematica pura è costituita dalle sue Disquisitiones Arithemeticae. Si sa che Gauss presentò questa sua opera all'Accademia di Francia, la quale ebbe l'imperdonabile leggerezza di respingerla come lavoro di nessun merito. Il Gauss n'ebbe un gran colpo, che influì non poco sulla sua carriera scientifica; imperocché da quel dì innanzi fu molto restìo nel pubblicare i suoi lavori, ed in essi sì studiò ad arte di essere assai conciso, tanto che riuscì spesso troppo oscuro: ecco le ragioni, per le quali le opere di Gauss furono ai suoi tempi poco note. (cap. V, p. 142)
  • I più grandi maestri dell'Analisi moderna sono Lagrange, Laplace e Gauss, che furono contemporanei. È interessante notare l'importante contrasto dei loro stili. Lagrange era perfetto tanto nella forma quanto nella sostanza; egli era lieto di spiegare il suo procedimento; e, quantunque i suoi argomenti fossero generali, essi sono facilissimi a seguirsi. Laplace d'altra parte non spiegava nulla; era assolutamente indifferente allo stile; e, soddisfatto che i suoi risultati fossero esatti, era contento di lasciarli agli altri senza dimostrazione, od anche con una alquanto difettosa. Gauss era esatto ed elegante quanto Lagrange; ma è anche più difficile da seguirsi di Laplace, poiché egli sopprime ogni traccia dell'Analisi, da cui ha ricavato i suoi risultati, e si studia di dare le dimostrazioni rigorose, ma per quanto sia possibile concise e sintetiche. (cap. V, p. 144)
  • [Farkas Bolyai] Le prime pubblicazioni di questo acuto ingegno furono drammi e poesie. Vestiva abiti da contadino a foggia antica; era assai originale nella vita privata e così nel suo modo di pensare; egli era modestissimo. Disse che nel suo sepolcro non avrebbe voluto alcun monumento, all'infuori di un pomo, in memoria dei tre pomi: i due di Eva e di Paride, che precipitò la terra nell'inferno, e quello di Newton, che di nuovo elevò la terra nel cerchio de' corpi celesti. (cap. V, pp. 157-158)
  • [János Bolyai] [...] aveva studiato per la carriera delle armi, e si segnalò di molto nella Matematica; fu un appassionato violinista ed un celebre schermitore. Una volta accettò la sfida di trentatre uffiziali a patto, che dopo ciascun duello, potesse suonare un pezzo col suo violino; ed egli li vinse tutti. (cap. V, p. 158)

Note

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  1. Riportiamo qui un motto di Voltaire: «L'Astrologie est la fille de l'Astronomie; mais c'est la fille très-folle d'une mère très-sage». [N.d.A.]
  2. Nel testo "ochio".
  3. Allusione al cosiddetto "ultimo teorema di Fermat" finalmente dimostrato nel 1994 da Andrew Wiles.
  4. Gilbert Burnet (1643-1715), vescovo anglicano e storico scozzese.

Bibliografia

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