24 settembre: A Torino è pubblicato il reale decreto che accetta le dimissioni del governo Minghetti e dà al generale La Marmora l'incarico di formare il nuovo ministero, nominandolo presidente del consiglio dei ministri, ministro degli affari esteri e, interinalmente, della marina. Il deputato Giovanni Lanza è nominato ministro dell'interno.
27 settembre: Nominati il Generale Petitti ministro della guerra e il deputato Sella ministro delle finanze.
28 settembre: Reale decreto nomina ministro dei lavori pubblici il deputato Stefano Jacini.
29 settembre: Reale decreto nomina ministro dell'agricoltura, commercio e industria il senatore Luigi Torelli e della pubblica istruzione Giuseppe Natoli.
1° ottobre: Reale decreto nomina ministro di grazia e giustizia e culti il senatore Giuseppe Vacca.
29 febbraio: Il Senato, con 70 favorevoli e 34 contrari, approva la legge di unificazione amministrativa.
10 agosto: Il ministro per la Grazia e Giustizia e Culti, Vacca, si dimette e gli è sostituito il deputato Cortese, già segretario generale del ministero delle finanze.
14 agosto: Il convegno di Gastein diminuisce nel Governo le speranze d'una guerra fra la Prussia e l'Austria e perciò La Marmora chiede a Ricasoli consigli per rinforzare il ministero, indebolito dalla diminuzione della maggioranza, e riprende la sua idea primitiva di trattare direttamente con l'Austria per la cessione del Veneto.
25 agosto: Giovanni Lanza, senza una ragione plausibile, si dimette da ministro dell'interno.
7 settembre: È sciolta la Camera dei Deputati e convocati gli elettori per il 22 e 29 ottobre; e il nuovo Parlamento a Firenze per il 15 novembre.
9 ottobre: La Marmora incarica il conte Alessandro Malaguzzi, di Reggio, di aprire segrete trattative con il Gabinetto di Vienna onde ottenere la cessione del Veneto come condizione della conciliazione con l'Italia. Le istruzioni si dividono in tre parti: questione finanziaria, politico-amministrativa e politica estera.
25 ottobre: Nigra scrive confidenzialmente a La Marmora l'esito dei colloqui di Napoleone III con Bismark a Biarritz, e dice che il senso della risposta dell'Imperatore (circa il conto che la Prussia potrebbe fare della Francia in caso di guerra con l'Austria) e questo: «Se la guerra si restringe in brevi limiti, la Francia lascia fare; essa desidera però che la Prussia retroceda una parte della popolazione danese dello Schleswig alla Danimarca, come soddisfazione all'opinione liberale dell'Europa e della Francia, e come omaggio al principio di nazionalità. Se la guerra avesse o dovesse avere per risultato di dare alla Prussia non solo i Ducati, ma altri territori tedeschi...la Francia dovrebbe pensare a stabilire per sé un contrappeso. Quale?... Esso sarebbe pigliato nel Belgio, con la retroccessione all'Olanda d'Anversa e delle province finitime fiamminghe...Se l'Austria avesse alla testa del suo governo uomini sensati..., la questione sarebbe ben presto risolta [per l'Italia]...Ma...dobbiam contare, a Vienna con una popolazione appassionata, incosciente, a Berlino con gli scrupoli sentimentali del Re simili a quelli di certe donne che vorrebbero amoreggiare senza far peccato, e con la versatilità impaziente e violenta di Bismark...Ad ogni modo mi pare che l'Italia debba tirar partito da questa situazione che in fondo le è favorevole...».
5 novembre: Comincia la partenza delle truppe francesi da Roma: partono oggi un reggimento di linea; un battaglione di cacciatori; una batteria d'artiglieria e uno squadrone di ussari; in tutto 3.000 uomini. Ne restano da 13 a 14 mila.
12 novembre: Il conte Malaguzzi, in una corrispondenza da Vienna, riferisce un importante colloquio avuto col presidente del Consiglio dei ministri, Belcredi, a proposito del memoriale consegnato da Malaguzzi stesso due giorni prima per proporre un'alleanza dell'Austria con l'Italia, con conseguente cessione della Venezia, invece dell'alleanza con la Prussia. Malaguzzi, nell'odierno colloquio, ammonisce Belcredi sulla quasi certezza della guerra che Bismark prepara contro l'Austria. Belcredi promette di esaminare la cosa.
19 dicembre: Rifiutando la Camera dei Deputati di convalidare il decreto legge del 29 ottobre relativo al servizio di tesoreria da affidarsi alla Banca d'Italia, solleva vivacissime proteste da parte della Sinistra la dichiarazione del presidente del Consiglio, il quale dice che il governo non ha mai pensato prima «a sciogliere la Camera, ma che, ove se ne presentasse il bisogno, ne avrebbe il coraggio». Venuta ai voti, la Camera con voti 196 su 197 votanti, vota un ordine del giorno, proposto da Gioacchino Valerio, fratello del defunto Lorenzo, e da Roggio, Salaris, Mancini — sfavorevole al ministero, che alla sera tiene consiglio e rassegna telegraficamente al Re, che si trova a Torino, le proprie dimissioni.
Bibliografia
Francesco Bartolotta, Parlamenti e Governi d'Italia dal 1848 al 1970, 2 Voll., Vito Bianco editore, Roma, 1971, II Vol., p. 39.