Sbarco in Sicilia

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Operazione Husky
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L'operazione Husky fu la prima invasione alleata del suolo italiano che durante la seconda guerra mondiale permise, con l'utilizzo di sette divisioni di fanteria (tre britanniche, tre statunitensi e una canadese) l'inizio della campagna d'Italia. L'operazione Husky costituì una delle più grandi azioni navali mai realizzate fino ad allora. Le grandi unità impegnate appartenevano alla 7ª Armata USA al comando del generale George S. Patton, e l'8ª Armata britannica al comando del generale Bernard Law Montgomery, riunite nel 15º Gruppo di Armate, sotto la responsabilità del generale inglese Harold Alexander.

La campagna ebbe inizio con lo sbarco in Sicilia (a Licata, tra Gela e Scoglitti e tra Pachino e Siracusa) delle forze alleate, tra il 9 e il 10 luglio 1943, a cui presero parte circa 160 000 uomini.

La pianificazione dello sbarco

L'attacco all'Italia fu deciso da americani ed inglesi durante la Conferenza di Casablanca del 14 gennaio 1943 (a tal proposito, celebre rimase la definizione dell'Italia di Winston Churchill: «L'Italia è il ventre molle dell'Asse») e la pianificazione e l'organizzazione venne affidata al generale Dwight Eisenhower.

Le forze contrapposte erano sulla carta di consistenza quasi pari, dato che la Sesta Armata italiana (generale Alfredo Guzzoni) poteva contare su circa 220 000 uomini, solo 170 000 dei quali erano però combattenti. Le grandi unità italiane erano inoltre carenti sotto tutti i punti di vista (armamento e motorizzazione soprattutto), e molte erano unità costiere prive di armamento pesante. Alcune eccezioni erano costituite da un battaglione di artiglieria semovente aggregato alla Divisione Livorno, che aveva in carico un certo numero di semoventi da 90/53, in grado di mettere fuori combattimento qualunque mezzo corazzato alleato. Il contingente tedesco, forte di 30 000 uomini circa ed al comando del generale Frido von Senger und Etterlin (sostituito il 15 luglio da Hans-Valentin Hube), a differenza degli italiani era perfettamente equipaggiato ed aveva sotto il suo controllo anche la Fallschirm-Panzer-Division 1 "Hermann Göring", dotata di alcuni carri pesanti Tiger I.

Pantelleria si arrende

Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Corkscrew e Presa di Lampedusa.

I primi segnali dell'invasione si ebbero già un mese prima (11 giugno 1943), con la presa dell'isola di Pantelleria, primo lembo di terra italiana a cadere in mano alleata, seguita dalla caduta dell'isola di Lampedusa il 13 giugno.
A Pantelleria, dopo un violentissimo bombardamento aereo, il comandante italiano chiese e ottenne da Mussolini il permesso di arrendersi, facendo credere di non avere scorte idriche. In realtà le capaci caverne dell'isola, che già ospitavano degli hangar per l'aviazione, erano in grado di offrire un riparo sicuro a tutta la popolazione civile e militare dell'isola, e le scorte idriche e alimentari erano tutt'altro che esaurite. Gli alleati fecero circa 11 000 prigionieri tra le forze italiane.

Le forze in campo

Le forze navali alleate

Le forze da sbarco, precedute da uno sfortunato lancio di paracadutisti (nessuna delle unità scese nel luogo stabilito e molti parà vennero catturati; inoltre 23 dei 144 Dakota, lungo la rotta di ritorno, sorvolarono le navi alleate e vennero abbattuti perché scambiati per bombardieri dell'Asse) erano protette e scortate da una formidabile flotta combinata.

Il comando della Regia Marina, nonostante le solenni promesse, si guardò bene dal frapporre la propria flotta da battaglia, che pure era intatta, tra le coste siciliane e le forze navali alleate. La decisione fu in qualche modo giustificata dal fatto che, in assenza di adeguata copertura aerea, le corazzate e gli incrociatori italiani sarebbero salpati per una missione suicida. Tuttavia neppure i sommergibili in agguato a sud della Sicilia ottennero risultati.

La flotta alleata contava quattro navi da battaglia (Nelson, Rodney, Warspite e Valiant, quest'ultima appena rientrata in servizio dopo l'attacco di Alessandria), più altre due di riserva ad Algeri ("Forza Z" con le corazzate Howe e King George V), le portaerei Formidable e Indomitable, gli incrociatori Orion, Newfoundland, Mauritius e Uganda, gli incrociatori contraerei Aurora, Penelope, Euryalus, Cleopatra, Sirius e Dido , e 27 cacciatorpediniere. Le forze di appoggio diretto contavano 2 monitori, l'incrociatore Dehly, 8 cacciatorpediniere, 4 cannoniere, 5 mezzi da sbarco trasformati in batterie galleggianti, e 6 mezzi da sbarco con lanciarazzi. La US Navy per parte sua schierava cinque incrociatori (USS Boise, USS Savannah, USS Philadelphia, USS Brooklyn e USS Birmingham), oltre a 25 cacciatorpediniere e a un monitore britannico. Da notare anche la presenza tra queste forze di unità appartenenti a paesi occupati, come Olanda e Grecia. Con l'appoggio di queste forze le prime truppe toccarono terra nelle prime ore del 10 luglio.

Le forze terrestri

Nave inglese colpita da un bombardiere tedesco durante lo sbarco a Gela l'11 luglio.

Le forze dell'8ª Armata (il XXX Corpo d'armata formato dalla 1ª Divisione canadese, la 51ª Divisione e la 231ª Brigata Malta, e il XIII Corpo d'armata costituito dalla 5ª e dalla 50ª Divisione) sbarcarono nei tratti di costa compresi tra la penisola di Pachino e la piazzaforte di Siracusa-Augusta, sul versante ionico, ad eccezione della 1ª Divisione canadese che sbarcò più a sud. Due brigate, la 1ª Brigata Paracadutisti e la 1ª Brigata Aviotrasportata (su alianti), distaccate dalla 1ª Divisione Aviotrasportata britannica furono aviosbarcate dietro le linee italiane per conquistare dei punti chiave.

La 7ª Armata di Patton sbarcò quattro divisioni (la 1ª, la 2ª corazzata, la 3ª e la 45ª) nel tratto di costa compreso fra Gela e Licata. L'82ª Divisione Aviotrasportata fu invece aviosbarcata tra Gela e Scoglitti. Di fronte a queste forze c'erano delle divisioni denominate costiere, in particolare la 206ª nell'estremo sud-est dell'isola, la 207ª tra Agrigento e Licata e la 18ª Brigata costiera sulla costa di Gela. Furono queste unità, oltre alle batterie costiere, a sopportare l'urto dello sbarco americano. Il fuoco di controbatteria delle navi da guerra e l'appoggio aereo favorirono la rapida attestazione delle forze di invasione, anche se nei punti maggiormente muniti di artiglieria costiera la lotta fu piuttosto aspra. Nei numerosi tratti di costa privi di difesa le truppe alleate poterono avanzare dai punti di sbarco senza difficoltà. Nell'entroterra erano presenti la divisione Livorno e la divisione Hermann Göring, oltre alla male armata Napoli. In riserva momentanea la 15ª Divisione Panzergrenadier tedesca, divisa in gruppi tattici, non aveva più di 60 carri. A ovest erano schierate le divisioni italiane Aosta e Assietta. Al comando delle forze dell'Asse, da Berlino fu inviato Hans-Valentin Hube.

La Sicilia si arrende

I combattimenti

Il generale Patton a Palermo riceve il 28 luglio 1943 il gen. Montgomery all'aeroporto

Dopo una serie di bombardamenti dalle navi e di attacchi aerei la settima armata americana alle 2,45 di notte iniziò lo sbarco di 20 mila uomini a Licata. Gli altri sbarchi avvennero a Gela, dove tremila paracadutisti furono lanciati nell'entroterra, e a Scoglitti, nel ragusano. In 24 ore 160 mila uomini furono sbarcati. Tra il 10 e l'11 luglio la divisione tedesca "Hermann Goering" e quella italiana "Livorno" contrattaccarono gli americani nella piana di Gela, dove fu combattuta una terribile battaglia: i contrattacchi dei "gruppi mobili" italiani, reparti di formazione motocorazzati costituiti ciascuno da circa 1.500-2.000 uomini, una dozzina di carri o semoventi ed una batteria d'artiglieria misero in seria crisi; epica la carica dei circa 20-30 carri Renault R-35 di preda bellica del 131° reggimento carri, che da soli attraversarono quasi tutta la testa di ponte americana mettendo, insieme ai vigorosi contrattacchi della "Livorno" (l'unica fra le divisioni italiane parzialmente motorizzata) e della "Hermann Goering"; tutta l'operazione di sbarco fu salvata solo dall'imprevista efficacia del tiro navale, che si abbatteva inesorabile sugli italotedeschi. Anche gli assalti di un raccogliticcio ma coraggioso battaglione costiero, male armato, poco addestrato e addirittura deficiente nelle dotazioni di base (ad esempio, non tutti avevano scarpe, che si passavano a chi doveva fare i turni di guardia) furono così energici da arrestare l'impeto americano.

Sul fiume Simeto fu combattuta un’altra durissima battaglia che impegnò gli inglesi dell'VIII Armata, bloccando la loro avanzata verso Catania. Il 16 luglio gli americani arrivarono ad Agrigento. Nonostante la combattività e il valore di gran parte delle forze dell'Asse (non solo le efficienti unità tedesche), la Sicilia fu occupata in soli 38 giorni quando, il 17 agosto, le truppe Alleate entrarono a Messina, dopo aver conquistato Palermo il 22 luglio e Catania il 5 agosto.

I tedeschi con un ponte di barche riuscirono a trasferire in Calabria la gran parte delle loro truppe e dei loro mezzi, a differenza degli italiani che abbandonarono molti dei loro.

L'occupazione alleata

A capo dell'amministrazione militare alleata della Sicilia occupata, di competenza dell'AMGOT che venne battezzata in questa occasione, fu indicato Charles Poletti.

Solamente il 3 settembre iniziò lo sbarco e quindi l'invasione alleata nella penisola italiana con l'Operazione Baytown, in concomitanza con la firma dell'armistizio. Armistizio che fu firmato a Cassibile, in provincia di Siracusa.

Note


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Bibliografia

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