Polissena

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Polissena (disambigua).

«Non storno il pianto alla vita mia,
che più che sozzura e rovina non è:
ventura migliore la morte, per me.»

Illustrazione quattrocentesca del sacrificio di Polissena del De mulieribus claris di Boccaccio.
Neottolemo rapisce Polissena da Ecuba
Polissena alla sorgente, spiata da Achille, da una lekythos attica del pittore di Atena, ca. 480 a.C.. Parigi, Musée du Louvre.

Polissena (in greco: Πολυξένη) è una delle figlie di Priamo e di Ecuba, principessa troiana di mirabile bellezza. La si ritiene responsabile della vaticinata e precoce uccisione di Achille, eroe mitico di proverbiale coraggio. Figura assente nell'Iliade, fu sviluppata dai poeti tragici, che ne temperarono la leggenda sino a definirla un personaggio corrispondente a Ifigenia, la fanciulla con la quale condivise la sorte di vittima di un sacrificio umano per la propiziazione del favore degli dèi.

Il suo mito fu ripreso da Euripide in due fortunate tragedie, Le Troiane e l'Ecuba, nonché nella Polissena di Sofocle, di cui rimangono pochi frammenti.[1]

Mito

Polissena è la fanciulla più giovane della casata regnante a Troia, ricordata dai mitografi come ultimogenita della vegliarda coppia reale, Priamo ed Ecuba.[2] Darete Frigio, nella stesura del capitolo in cui esamina i protagonisti del conflitto troiano, ha delineato il ritratto di una giovinetta graziosa, alta, ben proporzionata, che con la sua bellezza superava molte altre donne. I suoi capelli erano sciolti, il collo esile, le gambe aggraziate e le mani sottili, ma la sua indole era ingenua e nascondeva un temperamento da bambina.[3]

Polissena era legata da un affetto morboso al bellissimo fratellino Troilo, la cui folgorante avvenenza aveva fatto sorgere dibattiti sulla sua effettiva natura umana. Alcuni autori lo definiscono persino il frutto di un amplesso della regina Ecuba con Apollo,[4] ma in ogni modo l'anziano Priamo lo pose sotto la sua protezione, annoverandolo tra i suoi rampolli favoriti.[5] La figlia di Priamo pare già godesse di liete prospettive di matrimonio, ma solo una di queste sarebbe stata presa in seria considerazione dal padre, quella di Eurimaco, figlio di Antenore, che l'ospitò nella sua dimora in attesa delle regali nozze.[6][7]

Venne l'inverno del decimo anno di guerra e gli eroi greci si imbattevano nei notabili troiani quando si recavano al tempio di Apollo Timbreo, che era territorio neutro; un giorno, mentre Ecuba stava sacrificando al dio, Achille arrivò al tempio con il medesimo proposito e si innamorò perdutamente della stessa Polissena.

Una delle leggende sulla morte di Achille[8] racconta come l'eroe, innamorato della fanciulla, si sarebbe recato al Tempio di Apollo a Timbra per averla in sposa; qui avrebbe trovato la morte per mano delle frecce, forse avvelenate, di Paride. Il figlio di Achille, Neottolemo, immolò sulla sua tomba Polissena per onorare la memoria del padre.

Polissena nelle Arti

Sebbene non particolarmente frequentata nelle arti e nella letteratura, la vicenda di Polissena ne è rimasta comunque un tema fin dai tempi più antichi.

Già dal VI secolo a.C. ci sono pervenuti alcuni vasi a figure nere, sicuramente ispirati dai Canti Ciprii, attenti ora ad un particolare ora ad un episodio. Abbiamo Achille in agguato di Troilo mentre Polissena riempie l’anfora d’acqua nel hydros del “Pittore di Londra B 76” al Metropolitan o il dinos del “Pittore dei Cavalieri” al Louvre, oppure i due fratelli che fuggono da Achille nella Coppa di Siana del “Pittore C” , o semplicemente Achille che spia Polissena alla fonte nel lecythos del “Pittore di Athena”, ambedue al Louvre, oppure la scena sanguinosa di Neottolemo che sgozza la giovane principessa nel vaso del British Museum attribuito alternativamente al “Pittore di Timiades” oppure al “Gruppo Tirrenico”. Un scena estremamente simile del sacrificio, ma di più raffinata fattura, è scolpita a bassorilievo sul cosiddetto Sarcofago di Polissena del Museo Archeologico di Çanakkale.

Un centinaio d’anni dopo furono composte le già citate delle tragedie di Euripide e quella perduta di Sofocle.

Dall’epoca romana ci è giunta in primis la scena del sacrificio in un riquadro della Tabula Iliaica Capitolina (I sec a,C,) cui seguono la tragedia di Seneca Le Troadi e, soprattutto, le Metamorfosi di Ovidio che resteranno una fonte primaria fino ai tempi moderni. Molto interessante è il sarcofago scolpito ad altorilievo con le storie di Achille e Polissena (250 d.c. circa) ora Museo del Prado, proveniente probabilmente da Napoli.

Agli albori della letteratura italiana la storia di Polissena viene indirettamente citata da Dante nella Divina Commedia, quale causa della morte di Achille, per questo condannato tra i lussuriosi, e come una delle cause della folle disperazione della madre Ecuba, considerata tra i superbi quale rappresentante della sfida troiana ai greci.

vedi 'l grande Achille,

che con amore al fine combatteo.

(Inferno, V 65-66)

Ecuba trista, misera e cattiva,

poscia che vide Polissena morta,

e del suo Polidoro in su la riva

del mar si fu la dolorosa accorta,

forsennata latrò sì come cane;

tanto il dolor le fé la mente torta.

(inferno XXX 17-21)

Prima di Dante la vicenda era stata ripresa da Guido delle Colonne nella Historia destructionis Troiae. Poi anche Boccaccio ricordò Polissena dedicandole un capitolo delle sue De mulieribus claris ed in un passaggio dei De casibus virorum illustrium dove narra , come già Dante, la disperazione di Ecuba alla morte dei figli. Nelle codici manoscritti delle opere di Guido delle Colonne e Boccaccio ci sono pervenute alcune miniature a rappresentare il sacrificio di Polissena.

La vicenda riscosse una fortuna sempre maggiore tra barocco, classicismo e rococò in Italia e Francia. Per la pittura si possono ricordare tre opere dedicate al Sacrificio di Polissena eseguite da Pietro da Cortona (1623-1624 Musei Capitolini), Giovanni Francesco Romanelli (dopo il 1630) e Charles Le Brun (1647, ambedue al Metropolitan Museum of Art) e quella di Nicolas Prevost al Musée des Beaux-Arts d'Orléans. Molto varia è la ripresa nella letteratura. Pietro Michiel nel suo Dispaccio di Venere (1649) immagina una serie di epistole in versi tra amorosi, una serie di domande e risposte iniziata nel 1632. Nelle epistole III e IV immagina prima le profferte di Achille e quindi la ingannevolmente seducente risposta di Polissena. [9] Più impegnata nei significati è Madeleine de Scudéry nelle sue Les Femmes illustres ou les Harangues héroïques. All’inizio della seconda più estesa edizione (1644) mette la severa lettera di Polissena a Pirro. Qui la giovinetta afferma di preferire la morte che vivere come schiava, che mai ha voluto essere l’amante dell’uccisore dei fratelli Ettore e Troilo e di considerarlo soltanto un nemico. Chiede solo che il suo corpo sia restituito alla madre e di non essere legata in quanto si offre volontariamente alla morte. Alla fine con un d’orgoglio moto rivendica di essere una principessa e ordina a Neottolemo di affondare il pugnale rinfacciandogli d’essere esperto nello spandere sangue reale.[10] Nel teatro abbiamo diversi approcci Samuel Coster nel suo dramma letterario Polyxena (1619) si mantiene fedele alle fonti storiche invece Tomas Corneille ne La Mort d’Achille cambia parzialmente il ruolo del personaggio: Polissena è amata da Pirro senza ricambiare ma con una serie di intrighi diplomatici viene promessa sposa ad Achille, alla fine la principessa esce di scena meditando il suicidio mentre Paride uccide Achille.[11] Nelle tragedie liriche venne utilizzata la variante del suicidio di Polissena così fa Jean Galbert de Campistron nel libretto di Achille et Polixène di Lully e Collasse (1687) ripresa da Jean-Louis-Ignace de La Serre nel Polyxène et Pirrhus scritto per Collasse nel 1706. Anche lo sconosciuto Fermelhuis adotta questa soluzione per l’opera Pyrrhus di Pancrace Royer che sebbene incentrata sulla figura di Polissena evita di citarla nel titolo in quanto l’atto unico Polixéne di Jean Dumas d'Aigueberre, in scena con successo l’anno precedente, era stato troppo presto ripreso in farsa dalla Comédie-Italienne. [12] Le pitture del Sacrifio di Polissena dello stesso periodo, pur mantenendo lo stesso impianto teatrale tipico del rococò, restano incerte su supplizio e suicido preferendo mostrare una dignitosa principessa accompagnata davanti all’urna di Achille alla presenza di Neottolemo. È reso sicuro il supplizio dal carnefice con il coltello sguainato nel di pinto di Sebastiano Ricci (1720/30) ad Hampton Court ma in quello di Giovanni Antonio Pellegrini a Poznan (1730) il finale resta aperto. Giambattista Pittoni, il più prolifico e richiesto in questo soggetto sia negli originali che nelle repliche, presentò soluzioni alterne. Nel grande quadro (1720 ), distrutto nella seconda guerra mondiale, di Palazzo Caldogno Tecchio a Vicenza mostrava un anziano pronto con un coltello alla mano e Polissena con le mani legate, nel piccolo quadro dell’Ermitage e nella replica del Getty Museum (1733/34) il carnefice veste un abito sacerdotale sembra discutere con Pirro se affidare l’arma ad una altezzosa Polissena. In quello della Staatsgalerie Stoccarda e nelle repliche della Národní Galerie Praga e del Walters Art Museum (1735 circa) Polissena attende paziente che i sacerdoti preparano l’incenso mentre in disparte un paggio reca quasi dissimulato in un piatto il coltello. Negli altri non sono visibili armi: in quello della Residenza di Würzburg Polissena si offre inginocchiata all’altare sacrificale, in quello gigantesco di Palazzo Taverna Roma e nella più piccola replica del Louvre (1730 circa) si fa accompagnare al sacrificio da Neottolemo. In tutti reso invariabile l’atteggiamento autoritario di Pirro.

Ai primi dell’Ottocento la vicenda viene ancora più rivoluzionata nell’opera Ecuba (1812) di Nicola Manfroce su libretto di Giovanni Schmidt. Polissena si innamora di Achille nonostante la recente morte di Ettore. Priamo accetta che si sposino in cambio della pace ma Ecuba cerca di convincere la figlia ad uccidere l’amato. Durante la cerimonia delle nozze giunge la notizia che i greci hanno invaso Troia. Achille tenta invano di convincere tutti di non essere partecipe dell’inganno ma vien fatto uccidere da Ecuba. Infine i greci entrano nel tempio uccidendo Priamo e rapendo Polissena. Ecuba rimane sola a lanciare maledizioni mentre la città viene distrutta.

Il mito di Polissena continua ad essere un soggetto nelle arti visive romantiche e tardo-romantiche in maniera più limitata e con connotazioni retoriche diverse. Si va dal dal bel dipinto di Blondel al Lacma con lo svenimento di Ecuba contrapposto all’atteggiamento contrito ma dignitoso di Polissena, all’eroica lotta tra Ecuba e Pirro che ghermisce la principessa nella scultura (1865) di Pio Fedi nella Loggia dei Lanzi a Firenze per finire nel gusto simbolistico che ritraggono la principessa morta ai piedi dell’urna di Achille nella versione notturna di Joseph Stallaert (1875) al Koninklijk Museum voor Schone Kunsten di Anversa e d in quella arcadica di Paul Quinsac (1882 - ubicazione ignota). Polissena ritorna marginalmente come uno dei personaggi nella piéce pacifista di Jean Giraudoux Guerre de Troie n'aura pas lieu. Ad essa è dedicata anche una delle tavole disegnate da Pablo Picasso per illustrare le Metamorfosi di Ovidio (1931, Musée national Picasso).

Una interpretazione originale del personaggio di Polissena, come prototipo della bellezza indifesa, si trova nel romanzo Cassandra di Christa Wolf. Nell'interpretazione dell'autrice tedesca la ragazza, costretta a cedere al rude Achille per non meglio precisate "ragioni di stato", trascorre quel che le resta da vivere (prima di essere uccisa da Neottolemo) in una sorta di pazzia che tollera soltanto suoni bassi e luci sfumate.

Note

  1. ^ Sofocle frr. 479-485 Nauck2. Il lessico Suida informa che anche il tragico Nicomaco di Alessandria Troade (ν 396) ed Euripide Minore (ε 3694) scrissero tragedie con lo stesso titolo.
  2. ^ Igino, Fabula, 90.
  3. ^ Daretis Phrigii de excidio Trojae Historia, 12.
  4. ^ Pseudo-Apollodoro, Biblioteca, libro III, 12, 5.
  5. ^ Omero, Iliade, libro XXIV, v. 257.
  6. ^ Euripide, Ecuba, vv. 351-353.
  7. ^ Quinto Smirneo, Posthomerica, libro XIV, v. 323.
  8. ^ Il mito è descritto nell'opera oggi perduta di Sofocle, la Polissena, e nell'Ecuba di Euripide.
  9. ^ Lorenzo Geri, L’epistola eroica nell’Europa Barocca (1590-1717), su ENBaCH -- European Network for Baroque Cultural Heritage. URL consultato il 25/11/18.
  10. ^ (FR) Madeleine de Scudéry, Les Femmes illustres ou les Harangues héroïques, su BnF Gallica, 1644. URL consultato il 25/11/18.
  11. ^ (FR) Étienne Mahieux, La Mort d'Achille - Tragédie, su Bibliothèque dramatique, 2000.
  12. ^ (FR) David Le Marrec, Pancrace Royer, Pyrrhus … Une tragédie sans amour, su Carnets sur sol, 2012.

Bibliografia

Fonti antiche

Periodo classico

Traduzione delle fonti

  • Apollodoro, Biblioteca, Milano, Mondadori, 1998, ISBN 88-04-55637-4. Traduzione di Marina Cavalli
  • Pietro Bernardini Marzolla, Publio Ovidio Nasone. Metamorfosi. Testo originale a fronte, Torino, Einaudi, 2008, ISBN 978-88-06-17695-2.
  • Anna Beltrametti, Euripide. Le tragedie, volume secondo, Torino, Einaudi, 2002, ISBN 978-88-04-57001-1., Traduzione di Filippo Maria Pontani.

Moderna

Altri progetti

Controllo di autoritàVIAF (EN18363473 · CERL cnp00820598 · GND (DE131691317 · BNF (FRcb15068924h (data) · WorldCat Identities (ENviaf-18363473
  Portale Mitologia greca: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di mitologia greca