Secessione dell'Aventino: differenze tra le versioni

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{{nota disambigua|la forma di lotta politica adottata dalla plebe romana|Secessio plebis}}
[[File:Secessione dell'Aventino.jpg|thumb|Alcuni parlamentari dell'opposizione mentre discutono sulla proposta di secessione detta dell'Aventino|alt=alcuni parlamentari mentre discutono sulla successione di aventino]]
 
La '''secessione dell'Aventino''' fu un atto di protesta attuato a partire dal 27 giugno<ref>{{cita libro|titolo=Storia del Partito comunista italiano|autore=Paolo Spriano|editore=Giulio Einaudi editore|anno=1976|pagina=391}} "…il 27 [giugno] - il giorno in cui Turati commemora Matteotti e nasce ufficialmente l'Aventino".</ref> 1924 dalla [[Camera dei deputati del Regno d'Italia]] nei confronti del [[governo Mussolini]] in seguito alla scomparsaall'uccisione di [[Giacomo Matteotti]] avvenuta il 10 giugno dello stesso anno.
 
L'iniziativa, che consisteva nell'astensione dai lavori parlamentari fino a che i responsabili del rapimento Matteotti non fossero stati processati, prese il nome del colle [[Aventino]] dove, secondo la storia romana, si ritiravano i plebei nei periodi di acuto conflitto con i patrizi (''[[secessio plebis]]''). La protesta non ebbe successo e, dopo circa due anni, il 9 novembre 1926 la Camera dei deputati deliberò la decadenza dei 123 deputati aventiniani.
 
== Il contesto storico ==
[[File:FascistiBenito alMussolini Parlamentoalla Camera dei Deputati (10).jpgpng|thumb|[[Mussolini]] e i ministri fascisti siedono nei banchi del Governo alla Camera]]
Il 30 maggio [[1924]] il deputato socialista [[Giacomo Matteotti]] prese la parola alla [[Camera dei deputati del Regno d'Italia|Camera dei deputati]] per contestare i risultati delle [[Elezioni politiche italiane del 1924|elezioni]] tenutesi il precedente 6 aprile. Matteotti denunciò apertamente tutta una serie di violenze, illegalità ede abusi commessi dai fascisti per condizionare il risultato elettorale e vincere le elezioni.
 
Il 10 giugno [[1924]], intorno alle ore 16.:15, Giacomo Matteotti uscì a piedi dalla sua abitazione romana per dirigersi verso il Palazzo di [[Montecitorio]], sede della Camera dei deputati. In [[lungotevere Arnaldo da Brescia]], secondo le testimonianze,<ref>ASR, FM, vol. 1, Testimonianze Amilcare Mascagna e Renato Barzotti, vol. 1, fol. 22.</ref> era ferma un'auto con a bordo alcuni individui. Due degli aggressorioccupanti balzarono addosso al parlamentare socialista. Matteotti riuscì a divincolarsi buttandone uno a terra e rendendo necessario l'intervento di un terzo che lo stordì colpendolo al volto con un pugno. Gli altri due intervennero per caricarlo in macchina. In seguito i testimoni identificarono la vettura, descritta come "un'automobile, nera, elegante, chiusa",<ref>ASR, FM, vol. 1, fol. 8 Testimonianza Giovanni Cavanna.</ref> per una Lancia Lambda<ref>Gianni Mazzocchi, [[Quattroruote]] Luglio 1984, pag. 54".</ref>. Due giorni dopo il rapimento fu individuata l'auto che risultò proprietà del direttore del ''[[Corriere Italiano (1923-1924)|Corriere Italiano]]'' [[Filippo Filippelli]].
 
Il 13 giugno [[Mussolini]] parlò alla Camera dei deputati affermando di non essere coinvolto nella scomparsa di Matteotti, ma anzi di esserne addolorato. Al termine il [[Presidenti della Camera dei deputati (Italia)|Presidente della Camera]] [[Alfredo Rocco]] aggiornò i lavori parlamentari ''[[sine die]]'', annullando di fatto la facoltà di replica dell'opposizione all'interno del Parlamento.
 
{{quote|Il giudizio di [[Renzo De Felice|De Felice]] è che il Duce "non era un uomo crudele", che non meditava vendette a sangue freddo e che, infine, era "troppo buon tempista, troppo buon politico" per volere uccidere o rapire Matteotti. Io, al contrario, considero Mussolini un uomo capace di grande crudeltà, non sempre buon tempista e uomo che poteva serbare vivo un rancore per anni. Quindi, anticipando la conclusione, direi che invece del verdetto di "possibile" o di "impossibile", è da preferire quello di una "probabile" istigazione personale di Mussolini|[[Denis Mack Smith]], ''Mussolini e il caso Matteotti'', in ''Studi e ricerche su Giacomo Matteotti'' (a cura di L. Bedeschi), Urbino, Istituto di storia della Università, 1979, p. 69}}
Nel frattempo, le prime indagini, intentate dal magistrato [[Mauro Del Giudice]], difensore dell'indipendenza della magistratura di fronte al potere esecutivo, assieme al giudice Umberto Tancredi, individuò nello [[Squadrismo|squadrista]] [[Amerigo Dumini]] la mano dell'assassino. In breve tutti i rapitori furono identificati come fascisti ed arrestati, ma dopo pochissimo e dietro diretto interesse del [[Duce]], l'incarico gli venne tolto e le indagini vennero fermate.
 
Al termine il [[Presidenti della Camera dei deputati (Italia)|Presidente della Camera]] [[Alfredo Rocco]] aggiornò i lavori parlamentari ''[[sine die]]'', annullando di fatto la facoltà di replica dell'opposizione all'interno del Parlamento.
Il 17 giugno Mussolini impose le dimissioni a [[Cesare Rossi]] e ad [[Aldo Finzi (politico)|Aldo Finzi]] che erano indicati dall'[[opinione pubblica]]<ref>Giuliano Capecelatro, ''La banda del Viminale'', Il saggiatore, Milano, 1996, pag. 54: "Nelle indiscrezioni di quelle ore, Marinelli e Rossi sono indicati come i mandanti del delitto, su incarico affidato da Mussolini"</ref> e anche dalle indagini del magistrato [[Mauro Del Giudice|Del Giudice]], come i [[Gerarca|gerarchi]] maggiormente coinvolti a causa delle loro relazioni con Dumini e i suoi uomini<ref>Attilio Tamaro, ''Venti anni di storia'', Roma, Editrice Tiber, pag 425: "Quel giorno, oltre alle dimissioni imposte a Cesare Rossi e a Finzi, che i noti contatti avuti con Dumini e con altri individui di quella banda designavano ai peggiori sospetti dell'opinione pubblica, furono annunciati altri arresti..."</ref>. Fu dimissionato anche il capo della polizia [[Emilio De Bono]] e il giorno seguente anche Mussolini rinunciò alla guida del [[ministero dell'interno]] che affidò a [[Luigi Federzoni]].
 
Nel frattempo, le prime indagini, intentate dal magistrato [[Mauro Del Giudice]], difensore dell'indipendenza della magistratura di fronte al potere esecutivo, assieme al giudice Umberto Tancredi, individuò nello [[Squadrismo|squadrista]] [[Amerigo Dumini]] la mano dell'assassino. In breve tutti i rapitori furono identificati come fascisti ede arrestati, ma dopo pochissimo e dietro diretto interesse del [[Duce]], l'incarico gli venne tolto e le indagini vennero fermate.
 
Il 17 giugno Mussolini impose le dimissioni a [[Cesare Rossi]] e ad [[Aldo Finzi (politico)|Aldo Finzi]] che erano indicati dall'[[opinione pubblica]]<ref>Giuliano Capecelatro, ''La banda del Viminale'', Il saggiatore, Milano, 1996, pag. 54: "Nelle indiscrezioni di quelle ore, Marinelli e Rossi sono indicati come i mandanti del delitto, su incarico affidato da Mussolini".</ref> e anche dalle indagini del magistrato [[Mauro Del Giudice|Del Giudice]], come i [[Gerarca|gerarchi]] maggiormente coinvolti a causa delle loro relazioni con Dumini e i suoi uomini<ref>Attilio Tamaro, ''Venti anni di storia'', Roma, Editrice Tiber, pag. 425: "Quel giorno, oltre alle dimissioni imposte a Cesare Rossi e a Finzi, che i noti contatti avuti con Dumini e con altri individui di quella banda designavano ai peggiori sospetti dell'opinione pubblica, furono annunciati altri arresti..."</ref>. Fu dimissionatosostituito anche il capo della polizia [[Emilio De Bono]] e il giorno seguente anche Mussolini rinunciò alla guida del [[ministero dell'interno]] che affidò a [[Luigi Federzoni]].
 
== L'avvenimento ==
Il 27 giugno 1924, circa 130123 [[deputato|deputati]] d'opposizione (appartenenti a [[Partito Popolare Italiano (1919)|Partito Popolare Italiano]], [[Partito Socialista Unitario (1922)|Partito Socialista Unitario]], [[Partito Socialista Italiano]], [[Partito Comunista d'Italia]], Opposizione Costituzionale, [[Partito Democratico Sociale Italiano]], [[Partito Repubblicano Italiano]] e [[Partito Sardo d'Azione]]) si riunirono nella ''sala della Lupa'' di [[Montecitorio]], oggi nota anche come ''sala dell'Aventino'', decidendo comunemente di abbandonare i lavori parlamentari finché il governo non avesse chiarito la propria posizione a proposito della scomparsa di [[Giacomo Matteotti]].
 
Le motivazioni dell'abbandono erano state spiegate dal deputato liberaldemocratico [[Giovanni Amendola]] su ''[[Il Mondo (quotidiano)|Il Mondo]]'' (giugno 1924): ''«Quanto alle opposizioni, è chiaro che in siffatte condizioni, esse non hanno nulla da fare in un Parlamento che manca della sua fondamentale ragione di vita.'' […] ''Quando il Parlamento ha fuori di sé la milizia e l'illegalismo, esso è soltanto una burla»''.<ref>Michele Magno, ''L'altro Amendola'', in: ''Il Foglio'', 21 dicembre 1924.</ref> La linea di opposizione non violenta al governo fu promossa anche dal [[Partito Socialista Unitario (1922)|socialista]] [[Filippo Turati]] che, il 27 giugno, commemorò Matteotti in una sala di Montecitorio di fronte ai secessionisti: ''«Noi parliamo da quest’aulaquest'aula parlamentare mentre non v’èv'è più un Parlamento. I soli eletti stanno nell’Aventinonell'Aventino delle nostre coscienze, donde nessun adescamento li rimuoverà sinché il sole della libertà non albeggi, l’imperiol'imperio della legge sia restituito, e cessi la rappresentanza del popolo di essere la beffa atroce a cui l’hannol'hanno ridotta»''<ref>Enzo Biagi, ''Storia del Fascismo'', Firenze, Sadea Della Volpe Editori, 1964, pag. 354: "La soluzione Aventiniana prende l'avvio da un commovente discorso che Filippo Turati tiene alla Camera per commemorare Giacomo Matteotti, sulla cui sorte ormai non esistono più dubbi."</ref>.
 
Non parteciparono invece all'Aventino, oltre ovviamente agli eletti del [[Partito Nazionale Fascista]], il [[Partito Liberale Italiano]], il [[Partito dei Contadini d'Italia]], nonché i deputati delle [[Liste di slavi e di tedeschi]].
 
Gli "aventiniani" furono sostanzialmente contrari a ordire un'insurrezione popolare per abbattere il governo Mussolini. Allo stesso tempo, le componenti politiche della protesta si riunivano separatamente ed erano contraricontrarie a coordinarsi con altri oppositori del fascismo che non avevano aderito all'Aventino ed erano restati in aula. Confidavano che, dinnanzi all'emersione delle responsabilità del fascismo nella sparizione e ancora presunta morte di Matteotti, il re si decidesse a licenziare Mussolini e a sciogliere la Camera per indire nuove elezioni. Tutto ciò non avvenne<ref>Enzo Biagi, ''Storia del Fascismo'', Firenze, Sadea Della Volpe Editori, 1964, pag. 354: "...nella speranza che una tale azione secessionistica getti nella crisi completa il governo fascista e induca il Re a intervenire con un decreto di scioglimento della Camera."</ref>.
 
Dumini fu arrestato il 12 lugliogiugno [[1924]] alla [[Stazione di Roma Termini]], mentre si accingeva a partire per il nordNord Italia e tradotto nel [[Carcerecarcere di Regina Coeli]]. Il 16 agosto dello stesso anno il cadavere di [[Matteotti]] fu ritrovato nel bosco della Quartarella: si aggravò così la già complessa crisi politica.
 
Tra l'agosto e l'ottobre 1924, alcuni leader dell'Aventino, tra cui [[Giovanni Amendola]], sembrarono condividere la linea insurrezionale a carattere militare portata avanti da una parte dell'associazione combattentistica antifascista ''[[Italia libera]]''. Si costituì clandestinamente a Roma un primo nucleo armato denominato “Amici"Amici del Popolo”Popolo" composto da alcune migliaia di uomini<ref>Luciano Zani, ''Italia libera, il primo movimento antifascista clandestino (1923-1925)'', Laterza, Bari, pp. 93-94.</ref>. In una relazione al Comitato esecutivo dell'[[Internazionale Comunista]], l'8 ottobre 1924, [[Palmiro Togliatti]] stimò in 7.000{{formatnum:7000}} uomini i componenti di tale nucleo romano, sostenendo che circa 4.000{{formatnum:4000}} fossero controllati dai suoi "infiltrati" comunisti<ref>Palmiro Togliatti, ''Opere'', vol. I, Roma, 1967, pp. 836-837.</ref>.
 
Il 12 settembre 1924, per vendicare la morte di Matteotti, il militante comunista [[Giovanni Corvi]] uccise in un tram il deputato fascista [[Armando Casalini]], provocando un ulteriore irrigidimento della compagine governativa. Il 20 ottobre il leader comunista [[Antonio Gramsci]] propose invano che l'opposizione aventiniana si costituisse in "antiparlamento", in modo da segnare nettamente la distanza tra i secessionisti e un Parlamento composto di soli fascisti. Inoltre, Gramsci avanzò al «Comitato dei sedici» - il nucleo dirigente dei gruppi aventiniani - la proposta di proclamare lo sciopero generale che però fu respinta, soprattutto a causa del pessimo ricordo del clamoroso fallimento dello [[sciopero legalitario]] alla vigilia della [[marcia su Roma]]. I comunisti uscirono allora dal «Comitato delle opposizioni» aventiniane il quale, secondo Gramsci, non aveva alcuna volontà di agire: ha una «paura incredibile che noi prendessimo la mano e quindi manovra per costringerci ad abbandonare la riunione».<ref>Lettera a Giulia Schucht, 22 giugno 1924.</ref>
 
Negli ultimi due mesi del 1924, Amendola decise di abbandonare la velleitaria linea insurrezionale, ritornando alla scelta iniziale di confidare sull'appoggio del sovrano per scalzare Mussolini. Tramite il [[gran maestro]] del [[Grande Oriente d'Italia]] [[Domizio Torrigiani]], Amendola, iscritto alla [[massoneria]], era venuto in possesso di due memoriali che accusavano Mussolini come mandante del delitto Matteotti. Il primo di [[Filippo Filippelli]], coinvolto nel delitto per aver fornito ai sequestratori la [[Lancia Lambda]] su cui il deputato socialista era stato rapito ede ucciso<ref>[http://books.google.it/books?id=k5ElJqytAvUC&pg=PA170&dq=%22Filippo+Filippelli%22&lr=&cd=15#v=onepage&q=%22Filippo%20Filippelli%22&f=false Enzo Magrì] books.google.it.</ref>. In esso Filippelli accusava [[Amerigo Dumini]], [[Cesare Rossi]], il [[Quadrumvirato|quadrumviro]] [[Emilio De Bono]] e lo stesso [[Benito Mussolini|Mussolini]]. Si citava inoltre l'esistenza di un organismo di polizia politica interno al Partito nazionaleNazionale fascistaFascista, la cosiddetta [[Čeka]] fascista, diretta dal Rossi, dal quale sarebbe stato organizzato l'assassinio<ref>[[Peter Tompkins]], ''Dalle carte segrete del Duce'', Marco Tropea, Milano, 2001, p. 174.</ref>. Il secondo, di analogo contenuto, del capo della polizia segreta Cesare Rossi, su cui Mussolini stava tentando di rovesciare ogni responsabilità. In una riunione con Torrigiani ede [[Ivanoe Bonomi]], anch'egli massone, si decise che quest'ultimo, che aveva libero accesso al [[Palazzo del Quirinale|Quirinale]], avrebbe sottoposto i due memoriali in visione a Rere [[Vittorio Emanuele III di Savoia|Vittorio Emanuele III]] per convincerlo a licenziare Mussolini e formare un governo militare di transizione. L'incontro avvenne ai primi di novembre del 1924 ma non ebbe alcun esito. Il re, infatti, quando si rese conto delle terribili accuse contenute nei due memoriali, si nascose il viso dicendo di "essere cieco e sordo", e che i suoi occhi e le sue orecchie erano la cameraCamera ede il senato. Quindi, riconsegnò i documenti al loro latore senza prendere provvedimenti.<ref>{{Cita libro|titolo=L'età contemporanea|autore=Peppino Ortoleva e Marco Revelli|titolo=L'età contemporanea|anno=1998|editore=Bruno Mondadori|città=Milano|anno=1998|pagina=123}} Secondo Ortoleva e Revelli, però, ada incontrarsi con il re non fu Bonomi, bensì il senatore [[Pompeo di Campello (1874)|Campello]]. Anche il senatore [[Ettore Viola|Viola]], secondo la testimonianza di [[Emilio Lussu]], fece un tentativo di convincere il sovrano. Presidente dell'Associazione Nazionale Combattenti, Viola si recò con una delegazione a [[San Rossore]], ma senza risultati: "Mia figlia, stamani, ha ucciso due quaglie": così Vittorio Emanuele III rispose a Viola che gli aveva presentato un documento con dure accuse al fascismo e alle sue responsabilità nel [[delitto Matteotti]]: Emilio Lussu, ''Marcia su Roma e dintorni'', 1933.</ref><ref>Peter Tompkins, ''cit.'', p. 216.</ref>
 
L'8 novembre [[1924]], su impulso di Amendola, un gruppo di "aventiniani" costituì una nuova formazione politica in rappresentanza dei principi di libertà e di democrazia, "fondamento dell'Unità d'Italia e delle lotte risorgimentali, prevaricati e perseguitati dall'insorgente regime fascista" come asserito nel documento sottoscritto dagli aderenti<ref>''Il Mondo'', 18 novembre 1924.</ref>. Al nuovo partito politico, denominato [[Unione Nazionale (Italia)|Unione nazionale delle forze liberali e democratiche]], aderirono undici deputati, sedici ex- deputati e undici senatori, che si costituirono in gruppo politico<ref>Manifesto dell'Unione Nazionale di Giovanni Amendola {{cita web |url=http://www.repubblicanidemocratici.it/opinioni_condivise/manifesto_unione_nazionale.htm |titolo=Copia archiviata |accesso=19 novembre 2011 |urlmorto=sì |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20121106022930/http://www.repubblicanidemocratici.it/opinioni_condivise/manifesto_unione_nazionale.htm |dataarchivio=6 novembre 2012 |urlmorto=sì}}, e: Francesco Bartolotta, ''Parlamenti e Governi d'Italia'', Vito Bianco Editore, Roma, 1970.</ref>. Ciò favorì il consolidamento della componente "amendoliana" della secessione e il suo allargamento a personalità di diversa estrazione politica quali i liberal-democratici [[Nello Rosselli]] e [[Luigi Einaudi]], i radicali come [[Giulio Alessio]], i socialdemocratici come [[Ivanoe Bonomi]], [[Meuccio Ruini]] e [[Luigi Salvatorelli]], indipendenti come [[Carlo Sforza]] e, in seguito, repubblicani come il giovane [[Ugo La Malfa]]<ref>{{cita libro | cognome=Galante Garrone| nome=Alessandro| titolo=I radicali in Italia (1849-1925)| città=Milano | editore=Garzanti |anno=1973|pagine=405-406}}</ref>.
 
Il 12 novembre 1924 il deputato comunista [[Luigi Repossi]] rientrò in Parlamento per commemorare Matteotti a nome di tutto il suo partito. Il 26 vi rientrò anche tutto il gruppo parlamentare comunista e ciò segnò una frattura nell'esperienza aventiniana.
 
Il 27 dicembre [[1924]] il quotidiano ''[[Il Mondo (quotidiano)|Il Mondo]]'', diretto da Giovanni Amendola, pubblicò il memoriale difensivo del Rossi, composto da 18 cartelle di appunti. Rossi accusava direttamente Mussolini per l'omicidio del ''leader'' socialista. Scrisse infatti che Mussolini gli avrebbe detto ''"Quest'uomo non deve più circolare”circolare"'', in seguito all'intervento parlamentare di Matteotti del 30 maggio [[1924]], nel quale si denunciavano i brogli elettorali e le violenze del 6 aprile. Il memoriale Filippelli apparve invece sulla rivista antifascista fiorentina ''[[Non mollare]]'', diretta da [[Carlo Rosselli]], nel febbraio [[1925]].
 
Il timore che [[Vittorio Emanuele III]] potesse prendere in considerazione il suo licenziamento, spinse [[Benito Mussolini|Mussolini]] a pronunciare il [[Discorso di Benito Mussolini del 3 gennaio 1925|discorso del 3 gennaio 1925]]. In esso il capo del fascismo si assunse la responsabilità politica, morale e storica dei fatti: ricordando l'articolo 47 dello Statuto della Camera, che prevedeva la possibilità d'accusa per i Ministri del Re da parte dei deputati, Mussolini chiese formalmente al Parlamento un atto d'accusa nei suoi confronti. Peraltro, ciò non poteva avvenire senza il rientro alla Camera dei deputati degli "aventiniani" e, comunque, il voto favorevole di almeno parte dei fascisti che costituivano la maggioranza di governo. Va osservato, però, che anche all'interno dello stesso [[Partito Nazionale Fascista]] (PNF) si stavano tenendo accese discussioni, che vedevano contrapposti gli intransigenti e la frangia più moderata.
 
== Le conseguenze e l'istaurarsiinstaurarsi della dittatura ==
L'opposizione aventiniana non riuscì a reagire, sia per le immediate repressioni ordinate da Mussolini, sia per i frazionismi interni<ref>Ariane Landuyt, ''Le sinistre e l'Aventino'', Milano, F. Angeli, 1973.</ref>. Anziché rientrare in Parlamento e dar battaglia tra i banchi della minoranza preferì continuare a perseguire un semplice ruolo morale nei confronti dell'opinione pubblica<ref>Sull'eccessiva fiducia nel potere di ribellione morale della società, v. Tranfaglia, Nicola, ''Rosselli e l'aventino: L'eredità di Matteotti'', in: ''Movimento di Liberazione in Italia'', (1968): 3-34.</ref>.
 
I gruppi di ''Italia Libera'' furono soppressi già tra il 3 e il 6 gennaio 1925. Il giudizio del Senato come [[Alta corte di giustizia]] su [[Emilio De Bono]], sollecitato solo dalla denuncia di [[Luigi Albertini]] e dei cattolici<ref>Grasso, Giovanni, ''I Cattolici e l'Aventino'', presentazione di [[Fausto Fonzi]]. n.p.: Roma : Studium, 1994.</ref>, si concluse dopo sei mesi con l'archiviazione, dopo la ritrattazione di Filippelli, sentito come testimone il 24 marzo 1925. Cesare Rossi fu prosciolto in istruttoria e scarcerato nel dicembre [[1925]]. Il 20 luglio [[1925]] [[Giovanni Amendola]] fu aggredito dalle squadre fasciste in località La Colonna a [[Pieve a Nievole]] (in provincia di Pistoia). {{da chiarire|Non si sarebbe più ripreso dall'aggressione. Perì a [[Cannes]] il 7 aprile [[1926]], a seguito delle percosse subite.|Nella<ref>«Costretto vocedopo "Giovannile Amendola"numerose èaggressioni scrittoed cheintimidazioni ila pestaggiolasciare previstol'Italia, nonmorirà ebbein luogoFrancia (inel fascisti1926 fuggironoper primale conseguenze di iniziareun ilultimo pestaggio)attentato esubìto pochi mesi prima in una strada toscana, che Amendolastava morìpercorrendo per complicanzeallontanarsi medichedall'albergo adi seguitoMontecatini didove un'operazionesi era recato (per unle tumorecure termali, secondodopo che l'albergo era stato circondato dalle milizie fasciste giunte lì per linciarlo»: [https://www.giustiziainsieme.it/it/diritto-penale/3056-una-risalente-ma-non-vecchia-vicenda-processuale-il-pestaggio-fascista-in-danno-dellon-giovanni-amendola-del-26-dicembre-1923 figlioCostantino De Robbio, ''Una risalente (ma non vecchia)}} vicenda processuale: il pestaggio fascista in danno dell’on. Giovanni Amendola del 26 dicembre 1923'', Giustizia Insieme, 24 febbraio 2024].</ref>.
 
Il 16 gennaio [[1926]] alcuni popolari e demosociali entrarono a [[Montecitorio]] per assistere alle celebrazioni solenni per la morte della regina [[Margherita di Savoia]], ma poco dopo la violenza repressiva di alcuni parlamentari fascisti li scacciò dall'aula<ref>Luigi Giorgi, ''I popolari, l'Aventino e il rientro nell'Aula di [[Montecitorio]] del 16 gennaio 1926'', Rivista annuale di storia, anno 21, 2017, Fabrizio Serra editore, Pisa - Roma, DOI: 10.19272/201706601013.</ref> e lo stesso [[Mussolini]] il giorno dopo accusò il comportamento dei deputati aggrediti, accusandoli di indelicatezza nei confronti della sovrana<ref>Giampiero Buonomo, [https://www.academia.edu/2089113/La_decadenza_dei_deputati_nella_Camera_del_regno_dItalia_del_9_novembre_1926 La decadenza dei deputati nella Camera del regno d'Italia del 9 novembre 1926], in ''Historia Constitucional'', n. 13, 2012, pag. 701, nota 17.</ref>.
 
Tra il 16 e il 24 marzo [[1926]] si svolse il processo contro Dumini e le altre persone implicate nell'omicidio. La vicenda giudiziaria si chiuse con tre assoluzioni e tre condanne per [[omicidio preterintenzionale]] (tra cui lo stesso Dumini) tutte a cinque anni, undici mesi e venti giorni, di cui quattro condonati in seguito all'[[amnistia]] generale del [[1926]].
 
Nei giorni successivi all'[[Anteo Zamboni|attentato contro Mussolini]] del 31 ottobre 1926, si ebbe la soppressione delle libertà costituzionali, con l'approvazione delle [[leggi eccezionali del fascismo]]. Con Regio Decreto 5 novembre [[1926]], n. 1848 - [[Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza]], il Governo approvò la reintroduzione della pena di morte accompagnata dalla soppressione di tutti i giornali e periodici antifascisti, l'istituzione del [[confino di polizia]] comportante la perdita della libertà personale per semplice provvedimento amministrativo e sulla base del solo sospetto, la creazione di un [[Tribunale speciale per la difesa dello Stato (1926-1943)|Tribunale speciale per la difesa dello Stato]]. Agli oppositori non rimase che l'esilio.
 
Con il Regio decreto 6 novembre 1926, n. 1848, tutti i partiti politici adcon l'eccezione del Partito Nazionale Fascista furono definitivamente soppressi in quanto ai [[prefetto (ordinamento italiano)|prefetti]] venne imposto di sciogliere qualsiasi partito odo organizzazione politica contraria al fascismo, dando vita alla dittatura<ref>[[Ruggero Giacomini]], ''Il giudice e il prigioniero: Il carcere di [[Antonio Gramsci]]'', Castelvecchi ed., pag. 32, cita la circolare del Ministero dell'interno n. 27939 dell'8 novembre 1926.</ref>.
 
Il 9 novembre 1926 la Camera dei deputati, riaperta per ratificare le leggi eccezionali, deliberava anche la decadenza dei 123 deputati aventiniani: [[Gregorio Agnini]], [[Giuseppe Albanese (politico)|Giuseppe Albanese]], [[Salvatore Aldisio]], [[Gino Alfani]], [[Filippo Amedeo]], [[Giovanni Bacci]], [[Gino Baldesi]], [[Arturo Baranzini]], [[Pietro Bellotti]], [[Roberto Bencivenga]], [[Arturo Bendini]], [[Guido Bergamo]], [[Mario Bergamo]], [[Mario Berlinguer]], [[Alessandro Bocconi]], [[Antonio Boggiano Pico]], [[Igino Borin]], [[Giambattista Bosco Lucarelli]], [[Roberto Bracco]], [[Giovanni Braschi]], [[Alessandro Brenci]], [[Carlo Bresciani (politico)|Carlo Bresciani]], [[Bruno Buozzi]], [[Vittorio Buratti]], [[Emilio Caldara]], [[Romeo Campanini]], [[Giuseppe Canepa]], [[Russardo Capocchi]], [[Paolo Cappa (politico)|Paolo Cappa]], [[Luigi Capra (politico)|Luigi Capra]], [[Luigi Carbonari (politico)|Luigi Carbonari]], [[Giulio Cavina]], [[Eugenio Chiesa]], [[Mario Cingolani]], [[Giovanni Antonio Colonna di Cesarò]], [[Paolo Conca]], [[Giovanni Conti (politico)|Giovanni Conti]], [[Felice Corini]], [[Giovanni Cosattini]], [[Mariano Costa]], [[Onorato Damen]], [[Raffaele De Caro]], [[Alcide De Gasperi]], [[Diego Del Bello]], [[Palmerio Delitala]], [[Luigi Fabbri (politico 1888-1966)|Luigi Fabbri]], [[Cipriano Facchinetti]], [[Luciano Fantoni]], [[Giuseppe Faranda]], [[Enrico Ferrari]], [[Bruno Fortichiari]], [[Luigi Fulci]], [[Angelo Galeno]], [[Tito Galla]], [[Dante Gallani]], [[Egidio Gennari]], [[Annibale Gilardoni]], [[Vincenzo Giuffrida]], [[Enrico Gonzales]], [[Antonio Gramsci]], [[Achille Grandi]], [[Antonio Graziadei]], [[Ruggero Grieco]], [[Giovanni Gronchi]], [[Leonello Grossi]], [[Ugo Guarienti]], [[Giovanni Guarino Amella]], [[Ferdinando Innamorati]], [[Stefano Jacini]], [[Arturo Labriola]], [[Luigi La Rosa]], [[Costantino Lazzari]], [[Nicola Lombardi (politico)|Nicola Lombardi]], [[Ettore Lombardo Pellegrino]], [[Giovanni Maria Longinotti]], [[Emilio Lopardi]], [[Francesco Lo Sardo]], [[Arnaldo Lucci]], [[Emilio Lussu]], [[Luigi Macchi (politico)|Luigi Macchi]], [[Cino Macrelli]], [[Fabrizio Maffi]], [[Pietro Mancini (politico 1876)|Pietro Mancini]], [[Federico Marconcini]], [[Mario Augusto Martini]], [[Pietro Mastino]], [[Angelo Mauri]], [[Nino Mazzoni]], [[Giovanni Merizzi]], [[Umberto Merlin]], [[Giuseppe Micheli (politico)|Giuseppe Micheli]], [[Fulvio Milani]], [[Giuseppe Emanuele Modigliani]], [[Enrico Molè]], [[Guido Molinelli]], [[Riccardo Momigliano]], [[Giorgio Montini]], [[Alfredo Morea]], [[Oddino Morgari]], [[Elia Musatti]], [[Nunzio Nasi]], [[Tito Oro Nobili]], [[Angelo Noseda]], [[Giovanni Persico (politico 1878)|Giovanni Persico]], [[Guido Picelli]], [[Camillo Prampolini]], [[Enrico Presutti]], [[Antonio Priolo]], [[Luigi Repossi]], [[Ezio Riboldi]], [[Giulio Rodinò]], [[Giuseppe Romita]], [[Francesco Rossi (politico)|Francesco Rossi]], [[Giuseppe Srebrnic]], [[Mario Todeschini]], [[Claudio Treves]], [[Domenico Tripepi]], [[Filippo Turati]], [[Umberto Tupini]], [[Giovanni Uberti]], [[Arturo Vella]], [[Domenico Viotto]], [[Giulio Volpi]].<ref name="decadenza">{{cita web|url=http://storia.camera.it/regno/lavori/leg27/sed160.pdf|formato=PDF|titolo=Tornata di martedì 9 novembre 1926|editore=[[Camera dei deputati (Italia)|Camera dei deputati]]|pagina=6389-6394|accesso=23 marzo 2015}}</ref> A questi fu aggiunto anche il fascista dissidente [[Massimo Rocca]].<ref name="decadenza"/>
 
In un primo momento la mozione, presentata da [[Roberto Farinacci|Farinacci]], aveva parlato solo di aventiniani ed era stata motivata proprio con il fatto della secessione parlamentare: ne restavano perciò esclusi i comunisti che erano rientrati in aula. Poi la mozione fu emendata da [[Augusto Turati]] ed estesa anche ai [[comunisti]]. Come effetto dell'ordine del giorno gli unici rappresentanti dell'opposizione a Montecitorio rimanevano i 6 deputati appartenenti alla fazione giolittiana; già la sera prima [[Antonio Gramsci]], in violazione dell'immunità parlamentare ancora vigente<ref>Giampiero Buonomo, [https://www.academia.edu/2089113/La_decadenza_dei_deputati_nella_Camera_del_regno_dItalia_del_9_novembre_1926 La decadenza dei deputati nella Camera del regno d'Italia del 9 novembre 1926], in ''Historia Constitucional'', n. 13, 2012, pagg. 697-715.</ref>, era stato arrestato.
Come effetto dell'ordine del giorno gli unici rappresentanti dell'opposizione a Montecitorio rimanevano i 6 deputati appartenenti alla fazione giolittiana; già la sera prima [[Antonio Gramsci]], in violazione dell'immunità parlamentare ancora vigente<ref>Giampiero Buonomo, [https://www.academia.edu/2089113/La_decadenza_dei_deputati_nella_Camera_del_regno_dItalia_del_9_novembre_1926 La decadenza dei deputati nella Camera del regno d'Italia del 9 novembre 1926], in ''Historia Constitucional'', n. 13, 2012, pagg. 697-715.</ref>, era stato arrestato.
 
Filippo Turati riuscì a fuggire a [[Calvi (Francia)|Calvi]] in [[Corsica]], il 12 dicembre 1926, grazie all'aiuto di Carlo Rosselli, [[Sandro Pertini]] e [[Ferruccio Parri]], con un [[motoscafo]] partito da [[Savona]] e guidato da [[Italo Oxilia]]<ref>Antonio Martino: ''Fuorusciti e confinati dopo l'espatrio clandestino di Filippo Turati nelle carte della R. Questura di Savona'' in Atti e Memorie della Società Savonese di Storia Patria, n.s., vol. XLIII, Savona 2007, pp. 453-516. e ''Pertini e altri socialisti savonesi nelle carte della R.Questura'', Gruppo editoriale L'espresso, Roma, 2009.</ref>. Morì in esilio a Parigi nel 1932.
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Dopo il suo arresto, Gramsci trascorse otto anni nel carcere di [[Turi]]. Nel 1934, in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in una clinica di Roma, dove venne meno nel 1937.
 
Tra gli altri deputati "aventiniani" furono costretti all'esilio i socialisti [[Bruno Buozzi]] (fucilato dai tedeschi a [[Eccidio de La Storta|La Storta]] il 4 giugno 1944), [[Arturo Labriola]] e [[Claudio Treves]] (morto a Parigi nel 1933), i comunisti [[Guido Picelli]] (ucciso durante la [[Guerraguerra civile spagnola]] nel 1937) e [[Ruggero Grieco]] (condannato in contumacia dal tribunale speciale a 17 anni di carcere), il sardista [[Emilio Lussu]] (evaso dal confino di [[Lipari (Italia)|Lipari]] ed espatriato in Francia nel 1929, rientrò in Italia nel 1943), i repubblicani [[Cipriano Facchinetti]], [[Eugenio Chiesa]] (morto a [[Giverny]] nel 1930) e [[Mario Bergamo]]. Il socialista [[Giuseppe Romita]], il comunista [[Luigi Repossi]] e il repubblicano [[Cino Macrelli]] scontarono diversi anni di confino. Chi non fu imprigionato o confinato, fu comunque costretto ad abbandonare la vita politica sino alla caduta del fascismo.
 
Caduto il regime fascista l'[[Assemblea Costituente (Italia)|Assemblea Costituente]] della neonata [[Repubblica Italiana]] promulgò il 1º gennaio [[1948]] la [[Costituzione della Repubblica Italiana|Costituzione]]: nella cui III [[Costituzione della Repubblica Italiana#Struttura|disposizione transitoria e finale]] la seduta del 9/11/1926 veniva ricordata in quanto tra i criteri di nomina dei "[[Senato della Repubblica italiana|senatori]] [[Senatore di diritto#Senatori di diritto della I Legislatura|di diritto]]" della I legislatura, oltre a quelli eletti nel [[Senato del Regno (Italia)|Senato del Regno]], vi era anche "essere stati dichiarati decaduti nella seduta della Camera dei deputati del 9 novembre 1926". Risultarono quindi nominati 106 senatori, in aggiunta ai 237 [[Elezioni politiche in Italia del 1948|usciti dalle urne del 18 aprile 1948]].
 
== Note ==
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* [[Indro Montanelli]], con [[Mario Cervi]], ''L'Italia del Novecento'', Milano, Rizzoli, 1998. ISBN 88-17-86014-X
* [[Adrian Lyttelton]], ''La conquista del potere. Il fascismo dal 1919 al 1929'', Roma-Bari, Laterza, 1974.
* Stanislao G. Pugliese, ''Fascism, Anti-fascism, and the Resistance in Italy: 1919 to the Present'', Rowman & Littlefield, 2004. ISBN 0-7425-3123-6.
* Sandro Rogari, ''Santa sede e fascismo. Dall'Aventino ai Patti lateranensi. Con documenti inediti'', Bologna, Forni, 1977.
* Giuseppe Rossini (a cura di), ''Il delitto Matteotti tra il Viminale e l'Aventino. Dagli atti del processo De Bono davanti all'alta Corte di Giustizia'', Bologna, Il mulino, 1966.
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[[Categoria:Proteste in Italia]]
[[Categoria:Storia dell'Italia nel primo dopoguerra]]
[[Categoria:Delitto Matteotti]]