Secessione dell'Aventino: differenze tra le versioni

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Gli "aventiniani" furono sostanzialmente contrari a ordire un'insurrezione popolare per abbattere il governo Mussolini. Allo stesso tempo, le componenti politiche della protesta si riunivano separatamente ed erano contrari a coordinarsi con altri oppositori del fascismo che non avevano aderito all'Aventino ed erano restati in aula. Confidavano che, dinnanzi all'emersione delle responsabilità del fascismo nella sparizione e ancora presunta morte di Matteotti, il re si decidesse a licenziare Mussolini e a sciogliere la Camera per indire nuove elezioni. Tutto ciò non avvenne<ref>Enzo Biagi, ''Storia del Fascismo'', Firenze, Sadea Della Volpe Editori, 1964, pag 354: "...nella speranza che una tale azione secessionistica getti nella crisi completa il governo fascista e induca il Re a intervenire con un decreto di scioglimento della Camera."</ref>.
 
Dumini fu arrestato il 12 giugno [[1924]] alla [[Stazione di Roma Termini]], mentre si accingeva a partire per il nord Italia e tradotto nel [[Carcere di Regina Coeli]]. Il 16 agosto dello stesso anno il cadavere di [[Matteotti]] fu ritrovato nel bosco della Quartarella: si aggravò così la già complessa crisi politica.
Dumini fu arrestato il 12 giugno
 
[[1924]] alla [[Stazione di Roma Termini]], mentre si accingeva a partire per il nord Italia e tradotto nel [[Carcere di Regina Coeli]]. Il 16 agosto dello stesso anno il cadavere di [[Matteotti]] fu ritrovato nel bosco della Quartarella: si aggravò così la già complessa crisi politica.
 
Tra l'agosto e l'ottobre 1924, alcuni leader dell'Aventino, tra cui [[Giovanni Amendola]], sembrarono condividere la linea insurrezionale a carattere militare portata avanti da una parte dell'associazione combattentistica antifascista ''[[Italia libera]]''. Si costituì clandestinamente a Roma un primo nucleo armato denominato “Amici del Popolo” composto da alcune migliaia di uomini<ref>Luciano Zani, ''Italia libera, il primo movimento antifascista clandestino (1923-1925)'', Laterza, Bari, pp. 93-94</ref>. In una relazione al Comitato esecutivo dell'[[Internazionale Comunista]], l'8 ottobre 1924, [[Palmiro Togliatti]] stimò in 7.000 uomini i componenti di tale nucleo romano, sostenendo che circa 4.000 fossero controllati dai suoi "infiltrati" comunisti<ref>Palmiro Togliatti, ''Opere'', vol. I, Roma, 1967, pp. 836-837</ref>.