Battaglia di Stalingrado: differenze tra le versioni

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Battaglia di Stalingrado
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Con il termine battaglia di Stalingrado si intendono i feroci combattimenti all'interno della seconda guerra mondiale che tra l'estate del 1942 ed il 2 febbraio 1943 opposero i difensori dell'Armata Rossa a forze tedesche, italiane, rumene ed ungheresi per il controllo della città di Stalingrado (oggi Volgograd), nel fronte orientale. L'annientamento della VI armata tedesca a Stalingrado segnò la prima grande sconfitta militare della Germania nazista e l'inizio dell'avanzata sovietica verso Berlino.

Operazione Blu

Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Blu.

Nella primavera del 1942 Hitler era fermamente deciso a riprendere l'iniziativa sul fronte orientale dopo il brusco stop imposto dall'Armata Rossa durante il micidiale inverno russo. Freddo, ghiaccio e neve, uniti ai contrattacchi sovietici avevano notevolmente indebolito la Wehrmacht, escludendo la possibilità di una nuova gigantesca offensiva paragonabile all'Operazione Barbarossa dell'estate precedente. Il 5 aprile 1942 Hitler emanò quindi la Direttiva 41 con la quale definì sin nei dettagli gli obiettivi tattici, ma non strategici, della Operazione Blu (Blau in tedesco). L'offensiva tedesca si sarebbe scatenata nella Russia meridionale, occupando il bacino del Volga per mettere fuori causa le industrie di Stalingrado, per poi puntare fino ai pozzi petroliferi del Caucaso, assicurando alla Germania le sufficienti risorse energetiche per proseguire la guerra. L'operazione, inizialmente prevista per i primi di maggio, subì notevoli ritardi a causa della fiera resistenza sovietica a Sebastopoli, e di fatto iniziò a fine giugno, ma il successo tedesco fu subito travolgente. Occupate in poche settimane le regioni di Kharkov, Millerovo, Rostov e Voronezh, le truppe dell'Asse giunsero in agosto nei pressi della grande ansa del Don. Stalingrado, per la prima volta dall'inizio della Guerra Patriottica, si sentì realmente minacciata, ed iniziò a prepararsi all'ormai imminente battaglia.

L'inizio della battaglia

Il terreno di battaglia

La guerra si manifestò per la prima volta agli abitanti di Stalingrado in tutta la sua drammaticità, in un'assolata domenica pomeriggio. Il 23 agosto 1942 la Luftwaffe eseguì il primo, devastante e massiccio, bombardamento a tappeto, che colpì duramente la popolazione civile. Ardimentosa fu la difesa contraerea di un gruppo di ragazze, poi soprannominate Streghe di Stalingrado, la cui eliminazione richiese l'intervento di truppe di terra.

Agosto e Settembre, il tempo è sangue

Alla fine di agosto, nel giro di 48 ore, le truppe tedesche conquistarono tutta la grande ansa del Don e le prime avanguardie corazzate raggiunsero il Volga a nord di Stalingrado. Nel frattempo la difesa della città venne affidata al generale Vasilij Ivanovič Čujkov, ai cui ordini venne posta la 62^ Armata (Urss), mentre ad inizio settembre anche la fanteria germanica raggiunse la periferia della città, ormai ridotta ad un cumulo di macerie dai bombardamenti. Iniziò così una lotta sanguinosissima quartiere per quartiere, palazzo per palazzo, e persino stanza per stanza. A Stalingrado il tempo è sangue, divenne il detto di quei giorni, parafrasando il più famoso il tempo è denaro.

Ottobre, L'Armata Rossa spalle al muro

La situazione da parte sovietica si fece decisamente più difficile in ottobre, quando la VI Armata, al comando del generale tedesco Paulus, raggiunse il centro della città, incuneandosi profondamente nel fronte russo (tecnicamente si parla di saliente) ma, nonostante i prolungati sforzi, non riuscì ad eliminare i numerosi nuclei di resistenza che, agevolati dalla totale distruzione della città, diventarono in pratica l'esca di continue trappole russe. Capitava infatti spesso che i panzer tedeschi, formidabili in campo aperto, si ritrovassero vittima di imboscate negli angusti vicoli cittadini: i soldati dell'Armata Rossa si nascondevano negli edifici semi-distrutti, sprangavano i cingoli dei carri armati e andavano all'assalto con le famigerate bottiglie molotov.

Novembre, fine delle speranze tedesche

Soldati tedeschi

Il mese di Novembre inizia con la progressiva riduzione dell'artiglieria sovietica dalla riva sinistra del Volga. Čujkov può solo intuire che la manovra è dovuta ad un preciso piano di controffensiva predisposto dall'alto comando sovietico, lo Stavka. Nel frattempo il Volga inizia a gelare, interrompendo quasi totalmente i collegamenti russi con la riva sinistra. Durante questo periodo grosse lastre di ghiaccio attraversano l'immenso fiume, rendendolo innavigabile per i comuni natanti, senza però formare un manto spesso e stabile a sufficienza per garantire la posa di passerelle. Paulus e l'Oberkommando der Wehrmacht (OKW) attendono proprio questo momento per lanciare l'assalto definitivo; dalle retrovie e dai fronti laterali sono richiamate tutte le forze disponibili, lasciando di fatto ai soli alleati il compito di presidiare i fianchi dello schieramento. Con un ridotto appoggio dell'artiglieria, con scarsissimi rifornimenti e soprattutto con truppe logorate da mesi di aspri combattimenti, Čujkov continua a comandare le operazioni di difesa dalla riva destra del Volga, posizionando la propria postazione in un burrone a non più di un chilometro dalla linea del fronte. Nel punto di minimo spessore il settore russo di Stalingrado, stretto per circa otto chilometri lungo il fiume, non supera i 300 metri. I tedeschi dalle loro postazioni vedono il Volga ma non lo riescono a raggiungere, almeno non dappertutto. In questa situazione, a pochi passi dalla vittoria, arriva però la strabiliante (ma non imprevista) reazione sovietica.

Operazione Urano

Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Urano.
File:Khrushchev others stalingrad front.jpg
Khrushchev discute del fronte su Stalingrado

Mostrando doti organizzative di prim'ordine, i sovietici predisposero un piano (Operazione Urano) molto semplice nella sua articolazione ma complesso per le dimensioni richieste.

La complessità nasceva dall'esigenza di predisporre un'operazione prevedibile, nella più assoluta segretezza. Infatti, se un saliente non evolve in sfondamento, le buone regole della dottrina militare prevedono la rettifica del tratto di fronte interessato, prima che scattino le contromisure del nemico che attaccherà alla base e ai fianchi del saliente.

Ovviamente, per i sovietici si trattava di attaccare i due lati del saliente di Stalingrado, determinato, come detto, dal profondo incunearsi della VI Armata nel fronte russo, nel tentativo - non riuscito - di sfondare e raggiungere il Volga. La disperata resistenza russa, a parte gli aspetti propagandistici legati al nome della città, ebbe, quindi, due importanti conseguenze: in primo luogo, impedì appunto alla Wehrmacht di attestarsi sul Volga, interrompendo i collegamenti russi con i campi petroliferi ceceni. In secondo luogo, diede allo Stavka (Stato maggiore russo), il tempo necessario a portare in linea forze adeguate alla gigantesca manovra programmata.

Le divisioni corazzate affluite da oriente, (dove si era ridimensionata la minaccia nipponica verso l'URSS) erano in maggioranza siberiane, idonee a uno sforzo bellico prolungato in periodo invernale.

Lo storico britannico Norman Davies nel suo libro "L'Europa alla guerra dal 1939 al 1945: una vittoria non semplice" riporta alcuni dati che rivalutano il ruolo fondamentale dei russi nella sconfitta del nazismo: 400 divisioni (totale di russi e tedeschi) impegnate su un fronte di 1600 km, contro 15-20 impegnate nel Fronte Occidentale in Normandia, 88% delle perdite di soldati tedeschi avvenuto nel Fronte Orientale.

I concentramenti per gli attacchi avvennero a 160 km a nord-ovest di Stalingrado sul Fronte del Don, (Konstantin Rokossovsky e Georgy Zhukov) e a 70 km. a sud (Vatutin e Eremenko).

Anche la scelta dei punti d'attacco mostra la cura con cui i sovietici scelsero le opzioni che offrivano le maggiori probabilità di ottenere risultati positivi: infatti, il tratto di fronte compreso fra i suddetti estremi era tenuto dalle forze rumene, collocate fra il contingente italiano (immediatamente a nord) e i reparti tedeschi a sud.

Fanti sovietici durante la battaglia di Stalingrado

L'attacco scattò il 19 novembre 1942, sul fronte del Don (già sufficientemente gelato per sopportare il passaggio dei pesanti T-34) dopo una preparazione d'artiglieria con 3.500 pezzi e, secondo tutte le testimonianze, risultò di estrema violenza.

Incidentalmente, il collasso dell'Armata rumena coinvolse le truppe italiane (ARMIR) dislocate sul tratto di fronte adiacente che, ancorché investito marginalmente era, a quel punto, letteralmente sospeso nel vuoto, non esistendo più una qualsiasi linea di difesa rumena.

Nel contempo, da sud-est muoveva la seconda branca della tenaglia a incontrare le colonne corazzate del maresciallo Georgy Zhukov, che qui inizierà a costruire la sua fama di comandante abile e deciso. Nelle brecce irruppero oltre un milione di soldati sovietici, con circa 1000 carri armati e 13000 cannoni.

Va sottolineato che questa offensiva si abbatté su reparti che già si erano attrezzati per il periodo di relativo rallentamento delle operazioni belliche.

La sacca

I ruoli furono improvvisamente e drasticamente ribaltati. Gli assedianti si erano ora trasformati in assediati ed i difensori in attaccanti. Si stima che in quella poi passata alla storia come "Sacca di Stalingrado" (in tedesco kessel), furono intrappolati tra i 120 ed i 180 mila soldati dell'asse, tra cui almeno 79 italiani, per lo più autieri, inviati in città per trasportare materiali nel momento peggiore della battaglia [1].

Operazione Tempesta Invernale

Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Tempesta Invernale.

In breve, l'accerchiamento della VI Armata tedesca fu completato e rapidamente consolidato, rendendo vani i tentativi di Manstein di intervenire in soccorso dall'esterno. Quando von Manstein arrivò a 50km dalla sacca aveva già esaurito tutta la sua forza propulsiva; a quel punto però Hitler impedì a Paulus di andare incontro a Manstein e da quel momento il fronte tedesco si allontanò sempre più da Stalingrado.

File:Battle of Stalingrad.jpg
Due foto che raffigurano l'innalzamento da parte di un soldato sovietico della bandiera rossa e la felicità dei soldati dell'Armata Rossa per la vittoria

Vani furono anche i tentativi da parte di Hermann Göring e della Luftwaffe di rifornire la VI Armata intrappolata nella sacca.

Dicembre, l'illusione tedesca

Non va trascurata, naturalmente, la circostanza che favorì la perfetta riuscita del piano russo: Hitler, fermamente convinto che l'URSS non disponesse di ulteriori riserve da impiegare in operazioni di rilievo rifiutò qualsiasi suggerimento volto alla rettifica del saliente perché avrebbe comportato l'abbandono di Stalingrado e, a trappola scattata, mantenne sino alla fine quella posizione priva di qualsiasi logica da un punto di vista puramente tecnico. Non acconsentì infatti alla richiesta di Paulus di ripiegare per evitare l'accerchiamento da parte dei sovietici e anzi ordinò un attacco ad oltranza, con la famosa frase: «Dove il soldato tedesco mette piede, là resta!». In più Hitler era ossessionato dalla conquista di una città che portava il nome del capo dell'Urss. Occupare Stalingrado avrebbe anche sancito il controllo nazista sugli importanti pozzi petroliferi del Caucaso.

Operazione Saturno

Lo stesso argomento in dettaglio: Operazione Saturno.

Il maresciallo tedesco dunque obbedì e, pur circondato dal nemico continuò a combattere; quando furono terminate le munizioni la difesa proseguì all'arma bianca. Intanto però l'Alto Comando dell'Armata Rossa stava progettando una nuova operazione, tesa originariamente a colpire il fronte tedesco attestato sul Don per poi raggiungere Rostov ed intrappolare quindi le armate naziste ancora presenti in Caucaso. Nonostante la soluzione Operazione Saturno fosse caldamente sostenuta da Stalin, alla fine si optò per una controffensiva decisamente più contenuta dal punto di vista degli obiettivi e delle forze in campo. Con la Piccola Saturno l'obiettivo, pienamente raggiunto, era quello di allontanare ulteriormente il fronte tedesco dalla sacca di Stalingrado: Mainstein fu costretto ad abbandonare le posizioni più avanzate verso la città sancendo di fatto la fine delle speranze anche di una eventuale sortita in uscita delle truppe di Paulus assediate.

Gennaio, il cerchio si chiude

File:Stalingrad panoramic.jpg
Panorama di Stalingrado

Il 3 gennaio 1943, con la VI Armata ormai agonizzante, i sovietici spediscono due ufficiali, uno dell'esercito ed uno della polizia politica, in ambasciata per trattare la resa tedesca. Il primo tentativo non ha effetto, con i parlamentari respinti tra le due linee. Il giorno seguente, in un diverso settore di fronte, i russi sono finalmente ricevuti. Offrono l'onore delle armi, dignitose condizioni di prigionia per tutti i soldati e non solo per gli ufficiali, e soprattutto cibo. L'offerta è però rifiutata ed i due ambasciatori rispediti tra le linee sovietiche. L'Armata Rossa fissa l'ultimatum per la resa incondizionata per il 10 gennaio, data nella quale lancia l'ultimo grande assalto per riprendere Stalingrado.

A fine gennaio la battaglia è ormai finita. Il 31 un tenente di fanteria sovietico, nei pressi dei grandi magazzini di Stalingrado, scende nel bunker di Paulus catturando il comandante della VI armata tedesca, ex punta di diamante della Wehrmacht. Ancora in abiti da generale, Paulus si scusa con i russi per non aver avuto il tempo di indossare la divisa corrispondente al grado cui lo ha appena promosso Hitler, ovvero Feldmaresciallo.

Il maresciallo tedesco fu portato allora al quartier generale e il generale Chumilov in seguito narrò così la situazione: «Davanti a me stava il generale dell'esercito tedesco, che aveva attuato il criminale piano barbarossa per distruggere la nostra patria. Lo invitai a sedersi ed esibire i documenti, così come si fa con tutti i soldati semplici. [senza fonte]» Gli ufficiali sovietici, increduli che un feldmaresciallo si fosse lasciato catturare, chiesero a Paulus come mai non fosse scappato via aria. Paulus li ammutolì dicendo che secondo l'usanza militare tedesca un comandante deve condividere la sorte dei suoi uomini. Anche per questa risposta il feldmaresciallo si guadagnò un'immensa stima dal governo sovietico.

L'ultimo nucleo di resistenza tedesca, ormai decapitata del proprio leader, si sviluppa a nord della città, nei pressi delle grandi fabbriche.

La vittoria sovietica

File:Battle of Stalingrad first tank.jpg
Un carrarmato russo

L'inevitabile conclusione per la VI Armata fu la resa, avvenuta il 2 febbraio 1943. Spento anche l'ultimo nucleo di resistenza, nel pomeriggio un aereo da ricognizione nazista sorvolò la città, non riportando alcun segno di combattimento. La grande battaglia era finita, con esiti disastrosi per l'invasore nazista.

Solo da parte russa vi furono circa un milione di morti. Dei circa 100.000 soldati tedeschi caduti in prigionia ne sopravvissero solo 6.000. In tutto morirono quasi un milione e mezzo di persone, a cui si aggiungono la perdita di oltre 2000 carri armati e 3000 aeroplani.

L'esito di questa battaglia determinò una svolta nelle vicende della seconda guerra mondiale, in quanto fu l'inizio delle sconfitte militari tedesche sul fronte russo che si concluderanno con la battaglia di Berlino due anni dopo (1945). Il generale sovietico Ivan Zaicev disse:« La battaglia di Stalingrado ha rappresentato un punto di svolta decisivo per la liberazione della Russia dal nazismo e per l'esito della seconda guerra mondiale»[senza fonte].

Nel quadro bellico complessivo, poi, Stalingrado fu, con El Alamein e Midway il "giro di boa" della guerra che sino ad allora aveva visto prevalere le forze del Tripartito.

Le condizioni climatiche in cui si svolse (con temperature vicina anche ai -50 °C in inverno), l'elevato numero di morti da entrambe le parti e la distruzione della città fecero sì che questa battaglia divenisse un simbolo degli orrori della guerra.

Considerazioni di critica storica

File:German trops in the rubbles of Stalingrad.jpg
Soldati tedeschi

Per molti la battaglia di Stalingrado è il simbolo della disfatta tedesca. Una corrente storica relativamente recente però ha proposto una reinterpretazione della battaglia. La VI Armata tedesca da sola teneva impegnate 7 armate russe. Queste 7 armate russe di fatto non potevano essere impiegate per ulteriori offensive e quindi erano bloccate sul posto. Se queste non avessero dovuto tenere accerchiato Paulus avrebbero potuto lanciarsi contro il malridotto fronte tedesco e sfondarlo.

Uno sfondamento in quelle condizioni avrebbe decretato la fine del fronte sud tedesco. Con la VI Armata che resisteva a Stalingrado i tedeschi, dopo il tentativo di Manstein (vedi sopra), si stavano riassestando su un fronte più razionale anche se ci sarebbe voluto il tempo dovuto. Il fronte così accorciato avrebbe permesso di resistere con le forze esistenti.

La domanda che si pone la critica storica è: senza Stalingrado che tenne impegnate sette armate russe il fronte Sud avrebbe retto veramente per l'inverno e la primavera?

Note

  1. ^ Alfio Caruso, Noi moriamo a Stalingrado, Milano, Longanesi, 2006.

Bibliografia

  • Antony Beevor, Stalingrado, Milano, Rizzoli, 1998.
  • Alfio Caruso, Noi moriamo a Stalingrado, Milano, Longanesi, 2006.ISBN 8830423963
  • Egisto Corradi. La ritirata di Russia, 1965, Milano, Longanesi.
  • Heinrich Gerlach, L'armata tradita, Milano, Garzanti, 1968.
  • Norman Davies, Europe at War 1939-1945: No Simple Victory.
  • Ulteriori libri sull'argomento


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